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Sanremo 2023, share da record? Non proprio: il trucco sfruttato dalla Rai

Daniele Priori
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Boom di ascolti, sì ma anche tanto marketing. Soprattutto nella grancassa sui dati esplosivi dello share sanremese, schizzati oltre il 60% ma imparagonabili, letteralmente con le migliori percentuali delle scorse edizioni. E con una seconda serata, in particolare, che ha tenuto rispetto alla prima (10, 5 milioni) ma è calata di circa 800mila spettatori rispetto a quella del 2022 quando si raggiunsero gli 11,3 milioni di spettatori. Non pochissimo ma tant’è. Nonostante, anche nella seconda serata 2023, lo share sia volato al 62,3%. La colpa o il merito dello share inverso, è a quanto pare del cosiddetto total audience, in cui la tv conta un po’ meno, o meglio, inizia a condividere il regno con gli altri device: smartphone, tablet, pc. Motivo per cui, in soldoni, ci fanno pagare l’abbonamento Rai anche se a casa non abbiamo il televisore. Dallo scorso mese di maggio, infatti, appena dopo il Sanremo III di Amadeus, anche l’Auditel italiana si è adeguata, cambiando i sistemi di rilevamento.

 

 


Dati da leggere e capire per quello che sono. Complessi, nel bene ma anche nel male, che tuttavia, guardando bene, lasciano affiorare sotto forma di una emorragia di spettatori che comunque, rispetto al 2022, nelle prime due serate c’è stata. La prima serata del Festival di Sanremo 2023 è stata vista, infatti, da 10 milioni e 757mila spettatori con il 62,4% di share, mentre complessivamente la prima serata dell’anno precedente, il 2022, quando ancora eravamo parzialmente ristretti dalle regole Covid, l’Auditel aveva contato ben 10 milioni 911mila spettatori presi a emozionarsi per i Brividi di Mamhood e di un meno intemperante Blanco. Tutto ciò con uno share che si fermava “solo” al 54%. Se non che, e ci mancherebbe: Mamma Rai la sa raccontare bene da sempre. Ancora meglio quando le cose girano per il verso giusto, quindi fiato alle trombe dello share (percentuali d’ascolto) tutte in salita, meno attenzione al numero effettivo di persone rimaste a guardare nel complesso il festival. Tra granite e granate, dunque, il primo mistero da sciogliere è proprio quello legato all’indice d’ascolto. Una percentuale difficile da spiegare e molto più facile da declamare specie nei casi, come quelli attuali, nei quali manda ancora più acqua per l’orto di Amadeus al quale non resta che giovarsi e bearsi di un successo stabile da ormai quattro edizioni.

 


AI TEMPI DI PIPPO BAUDO
Qualcosa di impensabile anche ai tempi dell’imperatore Pippo Baudo quando, anche con ascolti assolutamente di lusso, come l’edizione del 1995, il dibattito, che sarebbe semplicemente impossibile e insensato animare oggi, volgeva spesso proprio sulla reale utilità di insistere con un festival che forse ballava, senza però risultare più bello né attrattivo. Praticamente poco più che una messa cantata. Con Amadeus la messa, invece, è raccontata. E anche bene. Forse troppo. Orientata quanto basta esattamente verso il glam, il clamore e la polemica ricercata dagli occhi semiaperti o semichiusi dei resistenti sanremisti da divano. Per la seria finché la barca va, lasciala andare, da viale Mazzini si leva un bel chissenefrega rispetto alle teste, ovvero le persone fisiche di fronte agli schermi - come ci spiega anche l’ottimo Klaus Davi su queste colonne, supportato da dati dei centri media internazionali – in leggero calo. Dio benedica il total audience e ora, che si fa sul serio, il televoto gliela mandi ancora buona. Al massimo ci saranno altre polemiche e applausi da pensiero quasi unico, abile a giocare anche con i numeri. Anzi, decisamente...con le teste. 

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