Non è da oggi che «la vita è tutta un quiz». Succedeva pure nell’87 ai tempi di Indietro tutta ed il fenomeno, già all’epoca, risultava così pervasivo che Renzo Arbore aveva inteso esprimere il proprio disappunto con una sigla spensierata soltanto all’apparenza, ma che celava un disincanto profondo per lo stato delle cose. La sigla finale, Vengo dopo il tiggì, raccontava di un uomo che prima di andare a letto con la sua compagna doveva, necessariamente, informarsi col telegiornale della sera. Oggi le cose vanno in maniera differente: con l’informazione spalmata ad ogni ora, gli alibi per il non adempimento dei doveri di coppia risultano spendibili per tutto l’arco della giornata. Sono cambiate, nel tempo, un mucchio di cose.
Non ci sono più le sigle televisive, che avevano un ruolo essenziale nella conformazione dei programmi.
La sigla, come da definizione del conduttore Daniele Piombi, «è l’abito indossato dai titoli di testa e dai titoli di coda di un programma televisivo». Un bel giorno qualcuno, non si sa chi, ha avuto la brillante idea di dismettere quell’abito e gli altri, a ruota, ne hanno condiviso il proposito. La storia delle sigle è appassionante e c’è chi, con impegno certosino, ha voluto consegnare i risultati della sua ricerca al riguardo. Claudio Federico quattro anni fa scrisse un libro che ora ritorna in commercio, in una edizione aggiornata dal titolo Attenti alle sigle! (di nuovo). Testa e coda dei programmi Tv (Ed. Efesto, p. 592, euro 23,75).
Isola dei Famosi, sfiorata la rissa durante la foto di rito: "Me l'hai rubata"
In attesa dell'avvio della nuova edizione dell'Isola dei Famosi, emergono le prime indiscrezioni. Stando a quant...Prendendo a prestito lo slogan (rispondente, nei fatti, assai poco al vero) della Rai, in questo volume possiamo trovare di tutto e di più. Fa bene allo spirito rammentare la bonomia di Mario Riva che cantava Domenica è sempre domenica, e altrettanto fa bene rammemorare le Kessler le quali, con quattro gambe fomentatrici di vertigini in chi le guardava, rendevano nazionalpopolare l’espressione futuristica Da-da-un-pa, oltreché il concetto di relatività del tempo, con l’asserzione che la notte era piccola per loro, troppo piccolina. Ci ritorna in mente Raffa, intesa come Raffaella Carrà, novella Salomé che nel cantare e ballare Ma che musica maestro conturbava le genti palesando l’ombelico, per poi azzardare con Tanti auguri un inequivocabile panegirico dell’emancipazione sessuale, così come non scordiamo niente affatto Loretta Goggi la quale, soffermandosi di più sugli aspetti metereologici, rilevava che l’aria del sabato sera aveva dei particolati tutti suoi, che la rendevano «ruffiana».
E chi mai si scorda Heather Parisi e Lorella Cuccarini, portatrici sane di sigle epiche, la prima invitandoci, con mirabile afflato animalista, a calarcene delle cica-cicale, mentre la seconda, su un versante più ornitologico, spronava noi tutti a mettere le ali, perché “la notte vola”. Pure i maschietti del piccolo schermo non sottovalutavano le sigle: Mike Bongiorno, sempre all’avanguardia, utilizzava per il Rischiatutto una sigla avveniristica, senza tuttavia obliare i buoni sentimenti, come nel brano L’amico è; Enzo Tortora, più londinese che americano nell’indole, per la sigla di Portobello si serviva del pappagallo eponimo, in una versione animata con la bombetta in testa. Maurizio Costanzo, fondamentalmente un malinconico, scelse per il Costanzo Show una sigla intrisa di nostalgia e di piccoli rimpianti.
La storia delle sigle è tutto fuorché irrilevante, perché alcuni programmi non sarebbero stati i medesimi senza determinate musiche. Viva la pappa col pomodoro, della miniserie Il giornalino di Gian Burrasca, era il manifesto di una rivoluzione gentile, così come il riarrangiamento dell’Aria sulla Quarta Corda di Bach cattivava, sin da subito, gli spettatori di Quark, mentre la sigla di Quelli che il calcio..., punteggiata dal parlato di Enzo Jannacci, esprimeva l’idea di uno sport da non prendere mai poi mai sul serio. I nomi che hanno confezionato le sigle famose – tra i musicisti Bruno Canfora, Claudio Mattone, Augusto Martelli, tra i coreografi Don Lurio e Franco Miseria, Bruno Bozzetto nell’ambito dell’animazione e Valerio Lazarov in quello della modellazione delle immagini con le nuove tecnologie – hanno realizzato, nella storia dello spettacolo, qualcosa di importante. Era proprio il caso, ci si domanda, di rinunciare all’«abito» delle sigle? Arbore, citato all’inizio, chioserebbe con una frase delle sue, che diceva «meditate gente, meditate...».