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Contro lo stress, Dio benedica il "cooling break"

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Matteo Legnani
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Esigo anch'io un cooling break, nella vita come sui campi da calcio. Non vedo perché solo Olanda-Messico debba godere di quello che è stato definito a pieni polmoni un "time-out refrigerante", necessario per combattere la fornace di Fortaleza, i 35 gradi del termometro brasiliano e, aggiungo io, lo stress del vivere giornaliero. Dopotutto di situazioni calde nel quotidiano ce ne sono a iosa. E non parlo di quelle millantate nei vari spot della Fiesta, dove sembra che l'unico break degno di questo nome sia una merendina dal sapore aranciato. Pensate a quante cose meravigliose potrebbero accadere se, di tanto in tanto, ci fosse concesso di mettere in pausa qualsiasi azione. Delle liti in cui la frase a effetto si palesa davanti ai nostri occhi con un consueto quanto obbligatorio ritardo non rimarrebbe altro che un vago ricordo, e di corse trafelate per arrivare puntuali ovunque sia non se ne dovrebbero mai più fare. Per non parlare dell'infinita sequela di volte in cui ci siamo arresi davanti allo scorrere inesorabile del tassametro mentre, impotenti, cercavamo le chiavi di casa sotto l'occhio compiaciuto di qualche tassista poco caritatevole. Quei pochi minuti, insomma, sarebbero vitali alla nostra sopravvivenza sociale e civile. Quindi accantoniamo per un attimo (che poi che ce frega?) l'eccitazione dovuta alla rivoluzione calcistica introdotta dal cooling break, fenomenale emancipazione dalla tradizione del calcio novecentesco. Facciamo tesoro delle (poche) cose che il Mondiale di Rio ci ha insegnato. Introduciamo questo break nelle nostre vite e a goderci qualche pausa all'urlo di «Più break meno stress». di Claudia Casiraghi

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