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Menez si confessa: "Ecco i disastri della mia gioventù: senza il calcio sarei in galera..."

michele deroma
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"Forse, se non avessi avuto il calcio sarei finito in galera": l'attaccante del Milan Jeremy Menez, autentico uomo in più di questo Milan targato Pippo Inzaghi, in una lunga intervista alla Gazzetta dello Sport ha parlato anche della propria adolescenza. Rivelando di aver vissuto un periodo per niente facile, caratterizzato dalle classiche "stupidaggini" della gioventù. Le bravate con gli amici - "Un sacco di miei amici - ha affermato Menez - sono finiti in carcere: colpa di furti, droga, quelle cose lì che ci caschi se sei giovane, vorresti tutto ma i soldi sono pochi. Ho continuato a sentirli quando erano dentro - i telefonini entrano pure in carcere, certo - e ogni volta era come rendersi conto di quanto sottile sia il filo che divide una vita felice da una vita buttata via, o comunque rovinata. Di quei tempi ricordo quando giocavo a pallone, quanto mi divertivo e quante scemenze facevo: come quella volta in cui abbiamo fregato un motorino a un pony express che era salito a consegnare una pizza - però dopo qualche giorno gliel'abbiamo ridato - o la volta in cui ce ne siamo date un sacco con un gruppo di un altro quartiere, io ne ho prese più di quante ne ho date e qui in fronte ho ancora una bella cicatrice. Però, se ci pensi bene, quel che ti resta di quei tempi sono soprattutto gli amici". A scuola - "Un po' del mondo che non ho studiato - aggiunge Menez - me l'ha fatto vedere il calcio, e per fortuna perché sui libri ci sono sempre stato molto poco. A scuola mi divertivo anche, soprattutto all'inizio quando in classe ero con tutti gli amici del quartiere, ma non andavo bene, diciamo pure che andavo un mezzo schifo. Però non ero di quelli che faceva casino e prendeva solo note, male che vada dormivo: facevo passare il filo delle cuffiette per la musica sotto la manica della camicia e fingevo di appoggiare la testa sulla mano, aspettando di uscire per andare a giocare a pallone. Ho smesso che non avevo neanche 16 anni e pensare che quando giocavo a Sochaux per quattro di noi avevano pure inventato una classe: erano i professori che venivano da noi e il massimo che ci chiedevano era 'due più due', oppure 'tre per tre', sai che sforzo". La carriera - "Dal quartiere me ne sono andato a Sochaux al momento giusto, a 13 anni, l'età in cui puoi iniziare a fare le stupidaggini più grosse. E a 16 anni sono rimasto lì e non sono andato al Manchester United, anche se mi voleva Ferguson perché pensavo non fosse il momento giusto, non ero pronto: non dico che sarebbe stata una cattiva strada, ma sentivo di essere troppo giovane per un salto così. Magari avrei fatto una carriera anche migliore, che ne so: so che non mi sono pentito, mai". Menez si definisce "permaloso" ("è colpa di mia madre") e rivela che, quando aveva 11 anni, giocava a rugby: "Facevo l'esterno, nel quartiere giocavano anche in tanti e tutto sommato mi piaceva anche, ma dopo un po' ho smesso di fare il masochista: troppo grossi gli altri, prendevo troppe botte ed ero troppo più bravo a giocare a pallone, rispetto ai miei compagni, per non dedicarmi solo a quello. Ma se potessi, giocherei a tennis più di quanto faccio". E infine: "Alla faccia degli esteti, dico che nell'uomo un po' di pancetta non guasta: quando smetterò di giocare ce l'avrò, ci metto già la firma, perché mi piace troppo mangiare".

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