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Cade anche il Dio Bryant: la carriera finisce così?

Kobe Bryant

A 34 il mito Kobe si rome il tendine d'achille: "Ma tornerò". E' polemica sulle troppe partite giocate

Andrea Tempestini
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  di Matteo Spaziante Era evidentemente un uomo in missione. Il suo obiettivo era quello di trascinare i suoi Los Angeles Lakers ai playoff, nonostante una delle peggiori stagioni da quando gioca in California. E lo stava facendo alla grande, a 34 anni 27.3 punti di media a partita, 6 assist a partita (miglior media in carriera), 47 punti in 48 minuti giocati contro Portland, nella notte di mercoledì, Lakers in qualche modo ottavi con una partita di vantaggio sugli Utah Jazz.  Anche contro Golden State stava giocando alla grande, 32 punti in 45', LA in rimonta, sotto 109-107 allo Staples Center, lui già ammaccato dopo due botte, una al ginocchio e una alla caviglia sinistra. A 3'08” dalla sirena, marcato da Harrison Barnes, prova una penetrazione, ma gli cede la gamba sinistra, va per terra. Si rialza a fatica, riesce in qualche modo a tirare e segnare i due liberi che portano i Lakers in parità, poi però si avvia verso gli spogliatoi.  La diagnosi dell'infortunio è una mazzata: rottura del tendine d'Achille. Una botta pesante, difficile da recuperare, tanto che qualcuno parla di carriera finita. Conoscendo la voglia di Kobe di vincere e giocare, ci crediamo poco (ma non si sa mai). Come confermato dal suo sfogo su Facebook, anche se leggendo per qualche secondo abbiamo tremato: «Ora dovrei tornare da un infortunio del genere ed essere lo stesso tipo di giocatore, o anche meglio, a 35 anni? Come posso riuscirci? Non ne ho la minima idea. Forse dovrei semplicemente vivere dei ricordi di una grande carriera. Ma forse no!».  Poi continua: «Ho sempre amato la frase: “Se mi vedete combattere con un orso, pregate per l'orso”. Questa è la mentalità del mamba: noi non molliamo, non tremiamo, non scappiamo. Noi resistiamo e conquistiamo. Un giorno intraprenderò un nuovo viaggio, inizierò una nuova carriera. Ma oggi non è quel giorno». Non sarà il giorno del ritiro di Kobe Bryant, uno dei simboli di questo sport. Potrebbe però essere il momento giusto per fare una riflessione. Perché di infortuni eccellenti ultimamente ne abbiamo visti tanti, forse troppi. Quello di Derrick Rose risale ancora alla scorsa stagione, quella resa devastante dal punto di vista fisico dal lockout (66 partite di regular season in 123 giorni, all'assurda media di 1 partita ogni 1,8 giorni), quest'anno però si gioca normalmente, 82 gare in 169 giorni, una ogni 2,06 giorni, eppure la lista dei grandi giocatori andati ko è lunga:  Rajon Rondo dei Boston Celtics, Danny Granger degli Indiana Pacers, il nostro Danilo Gallinari, oltre ovviamente a Bryant, solo per citarne alcuni. È vero che Kobe ha forse accelerato troppo il recupero dopo un precedente problema alla caviglia, probabilmente sforzando troppo, però il gioco è diventato talmente fisico, ha ritmi talmente alti, che forse si potrebbe riformare il calendario. Anche solo per non arrivare ai playoff senza i maggiori protagonisti.  

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