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Fiorentina, dopo la morte di Davide Astori il lavoro da psicologo di Stefano Pioli

Andrea Tempestini
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La scomparsa di Davide Astori ha cancellato, in tutti coloro che lavorano nella Fiorentina, la linea che divide la professione dalla vita, il calcio dal resto. Tutto, senza preavviso, si è mescolato, si è maledettamente confuso. Tutto, per tutti, e in particolare per Stefano Pioli, la guida fuori dal campo di una squadra che ha perso il capitano, cioè la guida dentro di esso. Da quel momento Pioli non ha più potuto recitare la parte dell'allenatore: essere un bravo professionista del calcio non poteva più bastare. Ha dovuto essere molto di più, Pioli: ha dovuto parlare di pallone, con i suoi giocatori e con i media, quando avrebbe preferito tacere; anteporre il dolore dei suoi ragazzi al suo, altrettanto profondo; dare un senso agli allenamenti e alle partite. Ha dovuto essere uno psicologo degli altri prima che di se stesso, una guida che avrebbe avuto il diritto umano di essere guidata. Si è dovuto rialzare prima di tutti, Stefano Pioli, per raccogliere e riaggregare i pezzi di una squadra, con l'obiettivo di onorare un finale di campionato già di per sé privo di obiettivi e per di più svuotato di senso dalla tragedia. E vista la forza con cui i suoi giocatori hanno affrontato le prime due partite senza il capitano, si può dire ci sia riuscito: ha trasformato il finale in una sincera dedica ad Astori. L'Europa League (grazie alle vittorie su Benevento e Torino) è ora lontana 3 punti, ma non è ciò che più conta: conta semmai che, anche grazie a Pioli, la Fiorentina sia ora unita, proprio come Davide avrebbe voluto che fosse. di Claudio Savelli

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