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Juventus, la Lazio si arrende a Ronaldo 2-1: i bianconeri trionfano in rimonta

Gino Coala
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Non c'era bisogno di questa vittoria, la diciannovesima su ventuno partite, per capire che la Juventus - salvo cataclismi - rivincerà il suo ottavo scudetto di fila. Undici punti di vantaggio sul Napoli rappresentano qualcosa di più di una fuga: amen. Ma se i campioni d'Italia hanno conquistato il successo invece di meditare su una sconfitta (che sarebbe stata) meritata contro una Lazio bella e tostissima, significa che sono davvero qualcosa di troppo grande e di troppo spesso per il campionato italiano. Per la Champions League, invece, immaginiamo che ci sia bisogno di una prestazione diversa rispetto a quanto si è visto all'Olimpico, anche perché in Europa non sono tutti così teneri come lo è stata la formazione di Inzaghi, incapace di capitalizzare la serata storta dei bianconeri. Non era mai successo che la Juventus chiudesse un tempo, nello specifico il primo, senza aver effettuato nemmeno un tiro in porta. Anzi, senza aver allestito un'azione pericolosa, senza aver messo uno dei suoi campioni, da Ronaldo a Dybala a Douglas Costa, nella condizione di poter infierire. Brutta come non la si vedeva da tempo, la squadra di Massimiliano Allegri è stata sorpresa dall'aggressività della Lazio, avvitata su un pressing molto 'cattivo' e lesta a infilarsi tra le pieghe delle debolezze altrui. L'assenza di Pjanic, che pare sia in lista di partenza al termine della stagione (mah e boh), si è fatta sentire più dell'immaginabile, anche perché né Matuidi, né Bentancur, né soprattutto Emre Can sono sembrati all'altezza di gestire il gioco e di praticare un efficace giro-palla. Il centrocampo a cinque messo in piedi da Inzaghi ha accentuato queste due evidenze, cioè l'assenza del playmaker bosniaco e la giornata stortissima del trio bianconero. Non a caso, ancorché condizionato da una distorsione alla caviglia, Bonucci è rimasto in campo fino alle lacrime (minuto 41) per una ragione semplicissima: era più regista lui di tutti gli altri. Si è capito subito che sarebbe stata una serata di passione per la Juventus, salvata da due paratone di Szczesny (su Luis Alberto e su Parolo) e da un intervento miracoloso di Rugani a porta vuota su un tocco morbido di Immobile. Una di quelle serate in cui Allegri comincia a urlare dopo un attimo e finisce negli spogliatoi, non proprio con il tono conciliante di un pacificatore di animi. Il flusso di coscienza dell'allenatore livornese non è altro che la certificazione di un disagio evidente al cospetto di un avversario per nulla intimorito, appena un po' troppo sprecone. Incrociare una Juventus così vuota e così povera di idee è un colpo di fortuna che deve essere capitalizzato con cinismo. L'autogol di Emre Can, forse il peggiore tra i campioni d'Italia, ha spostato l'equilibrio della partita dopo un quarto d'ora scarso della ripresa, tanto che Allegri ha cercato di cambiare immediatamente il corso inevitabile delle cose inserendo Bernardeschi al posto di Matuidi. Ma la mossa che ha consentito ai bianconeri di pareggiare è stato l'inserimento di Cancelo al posto di Douglas Costa. Proprio il portoghese ha piazzato la zampata giusta, quasi un tap in. E ancora il portoghese ha conquistato il rigore (fallo di Lulic) che Ronaldo (stavolta) ha trasformato. Era l'88 e qualcuno ha dovuto darsi un pizzicotto per credere che non stava sognando.

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