Vincenzo Nibali meglio di Marco Pantani. Ma...

di Andrea Tempestinidomenica 27 luglio 2014
Vincenzo Nibali meglio di Marco Pantani. Ma...
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Il campione che muore diventa santo, diventa misura per chiunque verrà dopo. È stato così per Ayrton Senna, un eroe omerico più che un beato, è stato così anche per Marco Pantani, lo spartiacque del ciclismo tout-court. Perché dopo di lui non abbiamo più fuso la tv per seguire il Giro e il Tour, non siamo più andati a comprare i mobili di qualche sponsor né c’è venuta più la voglia di metterci una bandana. Oggi Vincenzo Nibali entrerà con la tessera numero 6 in quell’elitario club di chi ha vinto almeno una volta Tour, Giro e Vuelta: finalmente un italiano Re di Francia, 16 anni dopo l’ultima vittoria di un azzurro. Proprio Pantani. Ancora lui, il Pirata. Vincenzo è più forte di Marco? Forse sì, ma diventerà mai icona come “Pantani”? Forse no, a meno che il prossimo anno non “decida” di vincere nello stesso anno Giro e Tour (ultimo a farlo proprio il «Panta» nel ’98). Ne riparleremo. Enzino appare ciclisticamente più completo, più forte. Passista-scalatore (contro lo scalatore puro di Cesenatico, quello che scattava in salita «per accorciare l’agonia»), diventato temibile anche a cronometro, Nibali è anche più leader di squadra e in gruppo, feroce nella gestione dei compagni. Lo Squalo contro il Pirata, il mare negli occhi di due fuoriclasse abituati a guardare e vedere lontano, oltre l’orizzonte. Ma se la portata del trionfo di Nibali viene celebrata con numeri da primato, il sospiro di chi ricorda che “Pantani scaldava il cuore come nessun altro” diventa lungo, malinconico. Ecco la grande sfortuna di Vincenzo: se lui è stato capace di vincere su tutti i terreni (Alpi, Vosgi, Pirenei), addirittura magnifico su quel pavé visto e domato per la prima volta solo tre settimane fa, la sua fama deve fare i conti con avversari che sulle salite di questo Tour della consacrazione non ha mai avuto. La condotta di gara geniale e sempre all’attacco di Nibali non potranno competere con l’emozione che regalava uno scatto di Pantani, così naif da sorprendere anche chi gli stava a ruota: via la bandana, via l’orecchino dal naso, via e basta. «Oh, ma quando comincia la Marmolada?», chiedeva al fido gregario Roberto Conti: «Siamo già a metà, Marco». E Marco partì. Enzo è più calcolatore, non gelido come Indurain né spietato come Armstrong (paragone che ha sempre riufiutato), però è uno che non dimentica: nel 2013 il 41enne Horner gli soffiò la seconda Vuelta da sotto il Naso, tre giorni fa sull’Hautacam si è vendicato andando a riprendere l’americano e vincendo la tappa. Enzo è super anche in discesa, ma chi ha scordato Pantani che si lanciava in picchiata seduto sulla ruota posteriore per essere più aerodinamico? Oggi, purtroppo, la scalata alla celebrità di Nibali paga soprattutto quindici anni di scandali doping, sporcizia e fango su uno sport che in Italia ha sempre meno interpreti di punta perché non c’è più la fame (quella di chi letteralemte non ha nulla da mangiare) per emergere e cambiare vita. Ha fatto 70 controlli antidoping dall’inizio dell’anno, Vincenzo, sempre negativi, eppure c’è ancora chi non è convinto. Non così papà Salvatore: «Non ha mai fatto porcherie, anche perché l’ho sempre avvisato: se cadi in tentazione non rimetti più piede a Messina». Prima di partire, la mamma di Pantani ha fatto avere a Enzo la maglia gialla di Marco, ora lui porterà la sua a Tonina. Nibali è Nibali, Pantani è Pantani: a noi in fondo va bene così. di Tommaso Lorenzini