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Italia dei numeri 10, Lorenzo Insigne "alter ego" di mister Mancini. E Ventura non sapeva che farsene...

Tommaso Lorenzini
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Roberto Mancini e Lorenzo Insigne possono battersi un doppio high five, un doppio "cinque" alto, le mani giunte come un manifesto programmatico, un colloquio parlando la stessa lingua: quella dei 10. Qui non esiste la solitudine dei numeri primi, il pallone rimbalza esattamente dove il ct aveva previsto che lo facesse e fa musica: Mancini e Insigne, dalla panchina al campo e viceversa, l'affinità elettiva che all'Europeo può essere il filo d'oro per avvolgere e impreziosire questo azzurro già brillante. «Per noi Insigne è unico. Per il ruolo di raccordo, per come lega la squadra è il giocatore meno sostituibile». Lo sosteneva il ct alla Gazzetta lo scorso gennaio, lo sta rendendo lampante l'esperienza e il percorso dell'Italia: nelle ultime otto partite, Insigne è sceso in campo 5 volte, fornendo un assist a gara e andando a segno nel giorno del suo 30esimo compleanno. Niente staffetta, stavolta, niente Rivera -Mazzola o Baggio-Del Piero. E pensare che Ventura non sapeva che farsene, nel ritorno dello spareggio con la Svezia per Russia 2018 lo tenne in panchina...

«SONO VECCHIETTO» - «Sono vecchietto. Mi sento vecchio», ha esclamato schernendosi nel dopo partita di Bologna, consapevole però che il 4-0 alla Repubblica Ceca, prova generale in vista dell’esordio con la Turchia (venerdì), è andata come doveva, «sono contento della fiducia del mister e dei miei compagni, abbiamo fatto una grande prestazione, dobbiamo arrivare pronti. Il mister ha creato un grande gruppo, un grande spirito, ha messo ciascuno di noi nella condizioni di esprimerci al meglio: tutti ci stiamo divertendo». Se l’ultima frase pare pescata dal consumato repertorio delle banalità pallonare, è allo stesso tempo il commento più completo che si può fare al momento riguardo alla Nazionale. I casi specifici lo esplicitano: Immobile (decisamente in vantaggio nelle gerarchie rispetto a Belotti) può sfuttare lo sviluppo spesso verticale dell’azione e anche costruirsi da solo le proprie folate; allo stesso Insigne viene chiesto di ripescare dal proprio bagaglio le giocate e le intuizioni in tandem con Immobile come facevano ai tempi del Pescara, in più tatticamente è stato messo nelle stesse condizioni in cui lo aveva consacrato Sarri al Napoli, vale a dire schierato con accanto una punta centrale affamata di movimento e profondità, alle spalle un terzino (Spinazzola o Emerson) e una mezz' ala (Verratti, o Locatelli, o Pellegrini) capaci di inserirsi, un esterno a lui opposto (Berardi o Chiesa) che hanno la porta come chiodo fisso e che può trovare a occhi chiusi nel cambio di gioco (vedi il 4-0 ai cechi), come se passasse da lì un Callejon qualunque; in più, con l'amico ed ex sodale napoletano Jorginho, l'intesa è talmente collaudata che l'impressione è di avere in campo contemporaneamente due registi. Non è un caso che nel primo tempo di venerdì i primi due gol siano giunti da azioni più di colletti vo, con Jorginho a far da supervisore, mentre gli altri due siano arrivati nella ripresa da intuizioni dello stesso Lorenzo: il suo 3-0, il poker consegnato da lui stesso a Berardi con un assist al bacio.

COLPI DI TACCO - Trequartista atipico, visto che prevalentemente la zona battuta è quella del centrosinistra, le similitudini frai calciatori Insigne e Mancini non sono facilmente sovrapponibili. Più elegante e totale il Mancio e anche meno incasellabile tatticamente, quanto più specializzato Lorenzinho, ma questo è l'esito dell'era calcistica nella quale sono cresciuti; tuttavia per il ct («uno che vedeva cosa sarebbe successo due tocchi prima», per citare Luca Vial li) è quasi una benedizione poter incanalare la sua conduzione tecnica nel napoletano. Al quale non difetta la faccia tosta delle giocate, proprio come un certo Mancini, davanti al quale venerdì si è prodotto in un paio di colpi di tacco (uno al volo) da stropicciarsi gli occhi: il Mancio ha apprezzato pur non battendo ciglio (forse unico nel Dall'Ara) ma, sull'argomento specifico, cosa dovremmo spiegargli? 

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