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Atalanta a stelle e strisce? Il fondo che tenta la Dea: tam-tam, chi vuole il 70% del club

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Tobia De Stefano
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Un grande fondo di private equity, un colosso da decine di miliardi di dollari, sarebbe in procinto di acquistare l'Atalanta. La voce che ha iniziato a circolare a Bergamo circa un mese fa, ha man mano preso piede fino ad arrivare all'ultima indiscrezione, quella che riferisce di un incontro decisivo previsto per domani. Le stesse fonti parlano di un affare da 350 milioni per il 70% del club e dei Percassi che resterebbero con una quota di minoranza continuando però a gestire la Dea. Le motivazioni? Dopo i miracoli calcistici ed economici di questi anni i pasionari patron, Antonio e il figlio Luca, si sono resi conto che avere alle spalle un socio di maggioranza o minoranza che li supporti finanziariamente è la strada giusta per compiere l'ultimo salto di qualità, quello che porta alla tanto agognata vittoria di un trofeo. Il coronamento di un percorso da favola. Manca solo un tassello: queste voci rispondono alla realtà? Libero ha fatto il suo dovere e i suoi bravi controlli. Ha provato a «infastidire» la presidenza senza avere riscontri: il club preferisce non commentare le indiscrezioni. Quindi si è rivolto all'altra parte della barricata, la cosiddetta comunità finanziaria. Talmente grande e variegata che il rischio di perdercisi dentro è sempre presente.

 

 

Abbiamo raccolto una certezza e un'ipotesi di lavoro. Secondo le informazioni in nostro possesso non c'è nessuna possibilità che il fondo in questione sia Kkr, il colosso americano che è stato chiamato in causa dalle indiscrezioni di questi giorni. Zero. È vero, il private equity che gestisce asset per 429 miliardi di dollari è molto attivo in Italia e nonostante l'impasse sull'operazione Tim- il 20 novembre ha proposto un'Opa da 11 miliardi per rilevare il 100% di Telecom, ma è ancora attesa di potere accedere ai conti del gruppo - non esclude nuovi affari nel Belpaese. L'Atalanta, però, non è mai stata nei suoi pensieri. Quindi? Resta l'ipotesi di lavoro. Non è escluso, infatti, che l'interesse di un fondo ci sia. Perché se è vero che di solito i private equity o gli hedge fund - il caso più clamoroso è quello di Elliott con il Milan- entrano in società indebitate e con i bilanci in rosso, le ristrutturano e poi le vendono nell'arco dei cinque anni successivi, è altrettanto verso che ragionano in termini di prospettive economiche e "politiche".

 

 

Ecco, se è certificato che l'Atalanta ha bilanci cristallini è altrettanto vero che esistono dei margini per farla crescere ancora. Così come «conquistare» Bergamo e il cuore dei bergamaschi rappresenterebbe un'entratura importante nella parte più ricca e laboriosa per un fondo che è sempre a caccia di opportunità. Insomma, l'occasione per mettere il classico piede dentro. Restano dubbi sulle valutazioni. Non tanto per il valore in sé della Dea che non si discute, quanto per la svalutazione che hanno subito gli affari legati del pallone causa Covid. Ecco, 350 milioni per il 70% vorrebbe dire valutare la Dea ben più di 400 milioni. Più o meno il valore di Roma e Milan secondo l'ultimo studio di Kpmg. Francamente tanto.

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