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Milan, il peso di essere favoriti: perché serve un Pioli a immagine e somiglianza di Ibra

Claudio Savelli
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Non è tempo di bel gioco e buone partite, è quello dei risultati. Si vede: dove c'è intensità non c'è qualità, e viceversa. Il calcio italiano non può permettersi entrambe. Ora che ci si avvicina ai verdetti, l'effetto è amplificato e la lontananza rispetto ai campionati superiori è ancora più evidente. La sfida tra Manchester City e Liverpool di domenica può essere una dimostrazione: potrà essere confrontata con Juventus-Inter, le due favorite di inizio stagione, o con l'inedita confusione nel Milan nella decisiva sfida casalinga al Bologna. La squadra di Pioli non è mai stata così lunga e sfilacciata. Quella di Sinisa (forza mister!) non ne approfitta perché è schierata per adattarsi alla rivale, non per imporsi. Lo spettacolo che ne consegue non è degno di un calcio che si pensa ancora di vertice: pare una partita di agosto dove la mente non è ancora predisposta al risultato e le gambe non sono ancora rodate dalla competizione. Le distanze sono abissali e gli errori elementari, da salvare c'è poco o nulla. Cosa è cambiato?

 

 

Che il Milan gioca per la prima volta con il peso dei favori sulle spalle, cristallizzato dalla pausa per le nazionali che ha sospeso il tempo e i giudizi. Era già stato primo ma mai con questo margine e con l'idea Stefano Pioli, 56 condivisa nell'aria che possa vincere lo scudetto. L'Inter non si è fermata per questo peso ma per l'illusione di essere superiore alle rivali (potrebbe averla eliminato con la Juve, a cui è stata inferiore), il Milan, invece, deve imparare a conviverci. È un salto nel buio. La rosa è giovane e non ha mai vissuto un finale di stagione da prima della classe. Anche lo stesso Pioli è un neofita dello sprint finale per il titolo, lo scorso anno a questo punto era lontano da Conte. Non a caso è molto più nervoso del solito in panchina. È come se accusasse un senso di panico, la sensazione di essere al bivio di un'intera carriera. Protesta contro anni (LaP) l'arbitro anche quando non ne esiste motivo, infondendo ad una squadra in affanno ulteriori incertezze. 

 

 

Al Milan ora servirebbe invece una guida tranquilla, un uomo al comando impermeabile alle emozioni, un Pioli a immagine e somiglianza di Ibra. A conferma dell'agitazione c'è un primo tempo ricco di tiri, 17, come al Milan non capitava dal lontano 2013. Tutti imprecisi, anche alcuni semplici. La squadra produce perché va a memoria, scorre su binari rodati, non conclude perché è imprecisa e affannata. È uno dei peggiori Milan, come lo è stata l'Inter, ma se la squadra di Inzaghi aveva bisogno di raggiungere un risultato giocando male, quella di Pioli ha la necessità di giocare come un mese fa, quando non era favorita, per dimostrare a se stessa che nulla è cambiato, che può reggere la pressione. Non ci riesce. Sapeva che sarebbe stata una sfida decisiva, lo è diventata per il Napoli e l'Inter che rientrano nel raggio (Bologna permettendo, per i nerazzurri) di una partita e riconquistano l'inerzia che fino a ieri soffiava in favore della capolista.

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