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Italia-Argentina, Roberto Mancini? Se l'Italia fosse un club la panchina sarebbe già saltata

Tommaso Lorenzini
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Per passare ai raggi x i ripetuti flop dell'Italia forse serve spostare l'obiettivo dall'annosa constatazione della non competitività della rosa. La batosta di ritmo, palleggio, verticalità- in una parola, superiorità - che ci ha rifilato l'Argentina a Wembley non ha smascherato arcani che già non conoscessimo: difesa da rifondare, centrocampo altalenante fra picchi di classe e passività, attacco dalla consistenza mentale del burro. Sapevamo già dalla Macedonia di essere alla frutta...
Eppure, la sensazione che rasenta il sospetto è che il colare a picco della Nazionale negli ultimi undici mesi sia dovuto non tanto ai giocatori quanto all'allenatore. Temiamo che Mancini e l'Italia non abbiano più niente da dirsi, che Roberto non sappia e non possa più cavare niente di diverso da questi calciatori. Si ostina, il ct, a predicare ottimismo per compattare l'ambiente (ma sabato nel post gara ha mostrato qualche cedimento), a credere che tramite il lavoro si possa ricostruire gruppo e gioco. Forse serve che a Coverciano qualcuno si sieda dall'altra parte del campo e analizzi l'Italia da un'altra prospettiva. È ancora Mancio l'uomo giusto? La vittoria all'Europeo ha fatto da equilibratore al devastante, ulteriore mancato accesso ai mondiali: molti altri, per molto meno, avrebbero giustamente perso il posto. E, la storia insegna, la riconoscenza in Nazionale è il peggiore degli errori (vedi il disastro dell'Italia Mundial nell'86, vedi il deleterio Lippi-bis).

 


COME MOSÈ Ora, soffermarsi sull'attonito Mancini di Wembley, mentre osserva l'informe rappresentativa azzura, rimanda all'aneddoto apocrifo di Michelangelo e del suo Mosè: l'artista contemplando rapito le forme e il realismo della sua scultura pare abbia esclamato «Perché non parli?», colpendone il ginocchio di marmo con un martello. Ecco, il Mancio con la Nazionale è come Michelangelo con Mosè, ma per motivi opposti: tanto era perfetta la statua da non aver bisogno di parlare, tanto appare ormai finita l'Italia di Mancini da stare in silenzio poiché non ha più nulla da dire.
Il problema non sono solo giocatori che in molte altre nazionali non troverebbero spazio, il punto di crisi è il progetto tecnico. Non si tratta di bocciare Mancio, dargli del brocco, è anzi l'esatto contrario: spiegare che forse non c'incastra più niente con questa Nazionale è il complimento migliore che si possa fargli. Per la vincente campagna europea ha chiesto ai giocatori mentalità più internazionale, un gioco più corale, ha chiesto qualità nel palleggio e nella vita di gruppo, ottenendo risposte da 10 e lode. Ha spremuto tutto da giocatori che con lui non sanno o non possono ripetersi. L'approccio positivista a oltranza, da alcuni scambiato per arroganza, ha raggiunto l'apice e poi iniziato una inarrestabile discesa. Le alchimie rimescolate nel pentolone per imbroccare l'incantesimo della rinascita lo dimostrano: contro l'Argentina abbiamo visto Raspadori quasi ala, un ennesimo Bernardeschi indefinibile, ancora un Belotti spaesato, fotografia dell'irrisolto dilemma del centravanti ideale per il Mancio che non esiste (e alla questione "Immobile sì-Immobile no?" la risposta è "forse Balotelli..."). L'Italia che all'Europeo segnava due gol a partita nelle ultime nove sfide per ben 4 volte è rimasta a secco: la tiritera del ricostruire e dello sperimentare non può trascinarsi così a lungo. Nonostante i tappeti rossi stesi da Gravina dopo il flop con la Macedonia.
 

 

CANNAVARO E DE ZERBI Se la gestione della Nazionale ormai viene equiparata in larga parte a quella di un club, è lecito porsi una domanda; se il ct sceglie i giocatori che ha a disposizione, ma costoro oramai non funzionano più "con lui" o "per lui": non è allora giunto il momento di sostituirlo? P.S. Il Mancio si fa scappare che «gli manca allenare tutti i giorni», però è sottocontratto fino al 2026, 4 milioni a stagione, sponsorizzazioni libere e la situazione non gli dispiace. A meno che le periodiche voci su Cannavaro (o De Zerbi) come erede, o l'interesse di qualche club, non cambino tutto... 

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