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Cesare Pompilio, addio al giornalista che viveva per la Juventus

Cristiano Ruiu
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Per raccontare la vita e il personaggio unico e inimitabile che è stato Cesare Pompilio servirebbero mille aneddoti e mille storie che lo hanno visto protagonista, per descrivere l'amico invece non ci sono parole. Ci sono solo l'amore, la generosità e l'allegria che ha lasciato dentro tutti noi che abbiamo avuto la fortuna di conoscerlo, di viverlo e di volergli bene. Ne scelgo uno che risale a un mese fa, la sua ultima trasmissione in diretta. Era il 27 luglio, non era previsto tra gli ospiti di Qsvs (storica trasmissione di TeleLombardia), ma come sempre girovagava negli studi dell'emittente, quella che da 20 anni era a tutti gli effetti la sua casa. Le ore di diretta durante le quali faceva divertire e incazzare i telespettatori erano solo una piccola parte del tempo che il "Pompero" trascorreva all'interno dell'edificio dove viveva la sua famiglia, noi.

 

 


A Telelombardia mangiava, a volte dormiva, litigava, partoriva le sue gag e dava libero sfogo alla sua fantasia, pure troppo. Parlava con tutti, tranne quelli che non gli piacevano. E non faceva nulla per nasconderlo, glielo diceva in faccia. Non aveva mezze misure. Bianco o nero. O stavi con lui o contro di lui. Ma nessuno gli era indifferente. Stava vicino a tutti. Nel bene o nel male. Aveva un consiglio, una critica, una parola o una parolaccia per tutti. Spesso «stava dalla parte del torto», come amava dire lui e in questo incarnava in pieno la filosofia di un'azienda editoriale che non si è mai piegata alle bieche logiche di opportunismo della comunicazione e che ha sempre mantenuto uno spirito di indipendenza giornalistica, in ambito sportivo e non. Merce rarissima di questi tempi. E lui, in questo contesto, si è trovato a meraviglia.

 


VOCAZIONE ALLA LIBERTÀ
Più di chiunque altro ha saputo trasferire in tv e nella vita questa vocazione alla libertà. Seppur con i suoi eccessi e i suoi paradossi. Si è schierato apertamente dalla parte del "perdente" Moggi nei contraddittori anni di Calciopoli e lo ha fatto non per interesse, ma per convinzione. "Lucianone", come lo chiamava lui, in poco tempo è passato dall'essere l'uomo più potente d'Italia all'uomo più vulnerabile. In pochi giorni tutti quelli che gli leccavano il c**o, gli hanno voltato le spalle. Cesare no, ha fatto esattamente il contrario, perché lui, al di lá di un'apparenza che ingannava, era un uomo buono e forte. Che amava stare dalla parte dei deboli e ricercava la verità e la giustizia. Rifiutando perbenismo e verità di facciata. Era a suo agio ovunque e con chiunque. Era capace di mettere a disagio chiunque e dovunque. E lo faceva con intelligenza e ironia, spesso autoironia, la forma più elevata di intelligenza. Mai con aggressivitá e maleducazione. Non ne aveva bisogno.


La sua comunicativa eclettica e paradossale metteva al tappeto chiunque. Non si vergognava mai di nulla perché non faceva del male a nessuno, anzi cercava sempre il bene del prossimo, da grande uomo di fede qual era. Soprattutto degli amici, quelli per lui erano sacri. E per loro avrebbe dato la vita. Proprio quella in cui ci ha insegnato a non prenderci mai troppo sul serio, quella in cui ci ha insegnato a pensare e parlare liberamente, quella in cui non ci ha insegnato a essere cauti ma casti, parafrasando S. Ignazio. Quella in cui ci ha insegnato a piangere dal dolore e un minuto dopo a ridere di gusto. Quella in cui ci ha insegnato a ridere di coloro che lo prendevano in giro per come si vestiva, per come parlava e per come si atteggiava. Lui, in questa vita, ha lasciato molto più di loro.

 

 


IL FILO
Ci ha insegnato anche a iniziare un discorso e poi a perdere il filo, magari concludendolo con un «Seeee» o con un «Veda», ricordando l'Avvocato. Il filo, parlando di lui, stavolta l'ho perso io che non vi ho ancora raccontato l'episodio della sua ultima diretta. Quel 27 luglio stavamo cazzeggiando con i compagni di una stupenda vita di redazione. Leggiamo l'elenco degli ospiti in studio e ci mettiamo le mani nei capelli. «Sta trasmissione rischia di essere una noia tremenda». Cesare sonnecchiava sulla solita poltrona. Ormai non partecipava spesso alle dirette perché non era più in formissima e faceva fatica a parlare. «Ma scusate, abbiamo il Pompero in panchina, facciamolo scendere in campo». Dopo la trasmissione, il direttore ci chiede come se l'era cavata. Risposta: «È come Ibra, tocca pochi palloni, ma tutti decisivi. Un fuoriclasse». Ecco lui era così, un fuoriclasse fino all'ultima puntata. Un giornalista, un opinionista, un tifoso, un personaggio, un amico: sintetizzava in sé tutti i valori della nostra trasmissione meglio di chiunque altro. E la nostra unione nello struggente dolore con cui abbiamo accolto la sua scomparsa ne rappresenta la più alta testimonianza. Adesso la smetto di "dire stronzate", come mi hai urlato tu mentre tagliavo la torta del matrimonio e lascio agli altri il modo migliore per ricordarti, in onda e non. E puoi stare tranquillo che anche se ripetevi sempre "spegnete la luce", per noi, i tuoi amici, la tua famiglia, la tua luce rimarrà sempre dentro al cuore

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