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Roberto Mancini, la retromarcia: cosa sta accadendo al Ct dell'Italia

Claudio Savelli
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Cambiare non è reato, anzi è doveroso quando una squadra ha ormai offerto il meglio di sé, e infatti l'Italia torna a giocare una partita con voglia e dignità dopo mesi di apatia. Ma è meglio farlo in senso evolutivo piuttosto che conservativo, soprattutto in questo momento privo di obiettivi reali, visto il Mondiale da trascorrere sul divano. Mancini crede che l'inedito 3-5-2 sia una soluzione o è una pezza per gestire l'attuale emergenza di uomini? Cosa ne sarà di questo modulo una volta che Chiesa e Berardi, le sue ali titolari, torneranno a disposizione e verrà sancita la pace con Zaniolo? Questo modulo esclude i migliori talenti azzurri, impone una scelta, non esiste via di mezzo.

 

Nel 3-5-2 in effetti ognuno è al suo posto ma, di contro, la proposta di gioco diventa antica, già vista, "italiana" nel senso più classico del termine. Il baricentro si abbassa di una decina di metri rispetto alla versione pre-Europei, il possesso palla non è più un mantra, il predominio territoriale viene consegnato agli avversari: è un'Italia che d'un tratto gioca come - ahinoi - la maggior parte delle squadre italiane. Può vincere una partita ma rischia di vivere alla giornata, ritrovandosi senza certezze nei momenti negativi. È un peccato considerando cosa è stata la prima Nazionale di Mancini: pioniera di un calcio che lungo lo Stivale si pensava impraticabile o addirittura esercizio di stile per allenatori vanitosi, e che invece si è rivelato efficace, coinvolgente e attraente per le nuove generazioni di tifosi, che poi sono quelli che una società (o una Federazione) dovrebbe considerare in quanto futuro.

Non gioca male l'Italia contro l'Inghilterra, anzi è la miglior partita dell'ultimo anno e mezzo, ma gioca per inerzia. Tutti gli azzurri conoscono il nuovo modulo e lo applicano in modo spontaneo, ma la squadra non insegue più un calcio ideale e diverso. Si esaltano i Bonucci e gli Acerbi che ai Mondiali 2026, ammesso di qualificarsi, avranno 39 anni. Se il primo Mancini aveva ignorato le abitudini del campionato, imponendo la sua idea, ora sfrutta queste abitudini. Prima allenava, ora seleziona. Prima costruiva, ora conserva. È come se si fosse rassegnato ad un movimento che non ha colto la lezione della sua stessa Nazionale, rimanendo dov' era, senza innovarsi, senza modificarsi, senza farsi un'esame di coscienza. Quell'Italia sembra oggi un'eccezione, questa è la regola del nostro calcio.

 

È un ritorno nella zona di comfort. La prova? Se due anni fa la Nazionale si esaltava (ed esaltava) per le azioni d'attacco, ora Donnarumma e i tre difensori (tutti oltre i 30 anni) esultano ad ogni chiusura. E se prima segnava di manovra, ora lo fa con un lancio di Bonucci verso Raspadori, il singolo con qualcosa in più. L'Italia "che non molla mai", tutta grinta e fisico a cui basta mezza occasione per vincere rivede la luce. Ben venga la vittoria, porta morale, ma speriamo serva a ritrovare un gioco avvolgente. A meno che Mancini abbia ragione e ripristinare il passato sia in effetti l'unico modo per dare un futuro a questa Nazionale.

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