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Qatar 2022, il Giappone ammazza il calcio romantico: nello spogliatoio...

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Tommaso Lorenzini
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La didascalia che spiega la foto qua sopra potrebbe essere "Qui si è cambiato il Giappone". Eh sì, serve puntualizzarlo perché dopo la storica rimonta sulla Germania, staffe squadra hanno rimesso a nuovo la stanza lasciando un bigliettino, "grazie", in arabo, giapponese e inglese. È questa l'unica traccia del loro passaggio ma, se sui social è un diluvio di apprezzamenti per l'«educazione», il «rispetto», la «civiltà» e vai con le pennellate di saliva (per farsi belli di luce riflessa), noi da tutto questo splendere di panche e armadietti siamo fastidiosamente accecati.

 


Liberissimi i giapponesi di mantenere la loro consuetudine, eppure lo spogliatoio sporco del dopo partita è memoria, può raccontare cose viste in campo e contenere segreti che là dentro sono destinati a restare: per questo potersi immergere in questo mondo parallelo e privatissimo, trovarlo usato, vissuto, "sudato" è il sogno non realizzabile di ogni tifoso. Uno spogliatoio è un sancta sanctorum che prevede riti non divulgabili, che là dentro devono restare come fosse un Fight Club: forse è per questo che i nippponici "cancellano" tutto? Lo spogliatoio è l'ultimo posto romantico rimasto nel calcio moderno. Quando perdi, ha un cattivo odore; quando vinci, diventa un pezzo di Paradiso in terra. E da quello spogliatoio vincente non vorresti uscire mai.

 


Anche la figura del custode, dell'addetto alle pulizie che si muove fra i nastri usati per fasciare le caviglie e gettati a terra, i parastinchi dimenticati, le stringhe strappate, gli odori e gli oggetti lasciati dai campioni, grazie a quelli diventa cantastorie: è un'immagine potente, e chi tira a lucido quella stanza magari dopo averci costruito un pezzo di storia la anestetizza, la elimina. Chi avrebbe voluto entrare nello spogliatoio da cui era appena uscito Maradona e trovarlo immacolato come se Diego non ci fosse mai passato?
La mano de Dios avrebbe mai ramazzato le orme del Diez?

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