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Berlusconi, in principio fu Lentini: così col Milan ha sconvolto il calcio

Gabriele Galluccio
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Silvio Berlusconi e il Milan, una storia che non verrà mai dimenticata. Una storia che va oltre l’epica calcistica e i trofei vinti, che pure sono stati tanti e di assoluto prestigio. Una storia di passione, intuizioni, spettacolarizzazioni. Una storia che è iniziata il 18 febbraio 1986, quando Berlusconi comprò lo “sfigatissimo” Milan da Giussy Farina. I rossoneri erano appena tornati dall’inferno della Serie B e facevano fatica a prendere sul serio questo personaggio che prometteva mari e monti, e pure in tempi brevi. 

Il primo impatto di Berlusconi con il Milan poteva tranquillamente essere ispirato alla sceneggiatura di un film: Silvio atterrò in elicottero all’Arena di Milano il 18 febbraio 1986, accompagnato in sottofondo dalla Cavalcata delle Valchirie di Wagner. Un modo di presentarsi che strideva con la realtà calcistica dei rossoneri e che Gianni Brera battezzò come il più grande spettacolo di vendita diretta al pubblico organizzato dal Cavaliere. Solo che non si trattava di vendere sogni ma solide realtà, come avrebbero poi appurato tutti nel giro di pochi mesi. A partire da Billy Costacurta, che ha vissuto l’epopea berlusconiana fin dal principio e che nel corso dei decenni ha sempre conservato un ricordo speciale del primo contatto con il presidente: “Ci sembrò proprio pazzo, un po’ fuori di testa. La sicurezza che in pochi anni saremmo arrivati sul tetto del mondo non era facile da metabolizzare”.

Eppure è andata proprio così, con il Cavaliere che inaugurò con Arrigo Sacchi il capitolo di “tutti gli uomini del presidente”. Il tecnico con la “paranoia della vittoria” - così lo descriveva all’epoca Berlusconi - fu un’intuizione geniale mista a un colpo di fulmine. Il primo incrocio risale proprio al 1986, con Sacchi che con il Parma fece fuori il Milan dalla Coppa Italia. Qualche mese dopo Arrigo venne chiamato sulla panchina del Diavolo, dando vita alla squadra che ha scritto la storia del calcio per il suo modo di scendere in campo, per gli interpreti divenuti leggende (Rijkaard, Gullit e van Basten) e per i trionfi indelebili, su tutti lo scudetto e le due Coppe dei Campioni. 

Neanche il tempo di leccarsi le ferite per l'addio di Sacchi nel 1991, che Berlusconi ebbe un’altra intuizione destinata a entrare negli annali. Il Cav scelse personalmente Fabio Capello, al quale aveva in precedenza affidato un posto dietro la scrivania in qualità di dirigente Mediolanum. Accolto come uno “yes man” e accompagnato da grandi perplessità per la sua inesperienza in panchina, Capello è stato protagonista di uno splendido ciclo vincente: tra il 1991 e il 1996 i rossoneri si sono aggiudicati quattro scudetti e una Champions League, disputando anche altre due finali. Inoltre il caso ha voluto che il 1994, anno della discesa in politica di Berlusconi, coincidesse con la miglior stagione nella storia del Milan: i rossoneri vinsero il campionato subendo appena 15 gol, umiliarono il Barcellona per 4-0 in finale di Champions e si aggiudicarono anche la Coppa Intercontinentale.

Sempre sotto la gestione di Capello si è consumato il caso di Gianluigi Lentini, più unico che raro nella storia del calcio. Quello non solo fu un acquisto da record, destinato a cambiare le logiche del calciomercato, ma addirittura superò il confine sportivo, diventando anche un affare sociale. Quando il primo luglio 1992 divenne ufficiale la firma con il Milan del gioiello del Torino, i tifosi granata scatenarono una rivolta: la sede del club venne presa d’assalto, ci furono scontri con la polizia e lanci di monetine contro il calciatore. Inizialmente Lentini non voleva lasciare il Torino, poi Berlusconi lo fece prelevare con un elicottero e lo sedusse con cifre senza senso per l’epoca. “Era impossibile dire di no”, ammise il calciatore, che era stato tormentato dai dubbi per giorni. Una trattativa per certi versi drammatica che è poi finita anche in tribunale per il presunto pagamento di altri 10 miliardi fuori bilancio. 

Tornando agli “uomini del presidente”, impossibile non parlare di Carlo Ancelotti, che per la sua esperienza in rossonero avrebbe tranquillamente potuto scrivere un manuale dal titolo “come disobbedire a Berlusconi e vincere in tranquillità”. Gli anni di Ancelotti sono infatti stati costellati da interventi calcistici del Cav, che era particolarmente esuberante nelle sue entrate sulle questioni di campo e di spogliatoio. I risultati di Carletto sono stati notevoli, al netto della “tragica” finale di Istanbul: il tecnico reggiano ha vinto uno scudetto, due Champions e altrettante Coppe del mondo per club. 

Nel complesso Berlusconi ha reso il Milan una delle squadre più vincenti, collezionando la bellezza di 29 trofei vinti, dei quali 26 nei 20 anni da presidente. Gli ultimi anni, quelli del graduale disimpegno, sono invece stati i più tormentati, con i tifosi che ormai si erano abituati a vedere il Diavolo scendere in campo per vincere tutto. Non sono mancati mugugni e contestazioni, soprattutto per la cessione del club nel 2017 a una cordata guidata dall’imprenditore cinese Yonghong Li. Cessione che ha sancito la fine di un’era non solo per il Milan ma per il calcio italiano, che ha perso il “padre-padrone” per eccellenza. 

Dopo aver lasciato il Diavolo con la tristezza nel cuore, il Cav ha riscoperto la passione primordiale per il calcio acquistando il Monza: uno sfizio costato inizialmente una manciata di milioni, un ritorno alle origini non fine a se stesso, ma per restituire gioia alla “sua” gente. In questo caso non c’è stato alcun atterraggio in elicottero per impressionare i tifosi, ma la storia si è ripetuta comunque, dando un senso di un cerchio che si chiude: Berlusconi ha preso il Monza in Serie C, lo ha portato per la prima volta in cento anni in Serie A e si è assicurato che ci rimanesse, grazie all’ultima intuizione geniale per la panchina che risponde al nome di Raffaele Palladino

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