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Inter? Col Benfica la grande di una notte di una rosa da rimodellare

Claudio Savelli
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L’Inter continua la sua strana tradizione stagionale: giocare meravigliosamente solo le partite di Champions League. Tradizione che poi tanto strana non è. Una squadra vecchia - la più vecchia tra le 8 grandi d’Europa, con poco più di 29 annidi media in rosa - si esalta per definizione in una competizione corta, che richiede più dispendio mentale che fisico. In più è chiamata a farsi perdonare un campionato insufficiente, dove fatica proprio per via del tipo di sforzo richiesto: la continuità sul lungo periodo è una cosa per i giovani nel pieno delle forze. Queste notti sono un’occasione per redimersi e per dimostrare di non essere bolliti. Ancora: tra prestiti, scadenze e potenziali cessioni, mezza rosa non sa se vestirà il nerazzurro il prossimo anno.

Vive quindi il qui e ora, ovvero la Champions, che è anche una vetrina professionale utile alle carriere. Meglio che faticare in un campionato in cui c’è in palio il domani degli altri, non più un titolo.

Contro il Benfica si vede l’Inter che si sarebbe dovuta vedere sempre, capace di difendersi con un baricentro basso per lunghi tratti di gara e di alzare il pressing solo in situazioni favorevoli. Una squadra consapevole di non avere nelle corde un ritmo alto per tutta la partita e che quindi ne fa uso solo per alcuni flash. In campionato, l’Inter si sente superiore e dimentica questa sua caratteristica, per questo si fa infilare in ripartenza. È grave che una squadra così esperta non si conosca, o che faccia finta di non conoscersi. In questo Inzaghi ha colpe. Colpe tattiche.

Avrebbe dovuto parlare chiaro alla squadra e chiederle un’attenzione difensiva profonda, totale, maniacale, dimenticandosi della presunta vocazione offensiva. Non si è accorto delle qualità a sua disposizione, non le ha valorizzate. Ha semmai chiesto ai giocatori di produrre un gioco che non è più nelle loro corde.

 

Anziché citare la quantità di occasioni prodotte (e sbagliate) dopo ogni gara di campionato, avrebbe dovuto sottolineare l’abnegazione, la resistenza, la forza interiore di questi uomini un po’ consumati dagli anni ma rinvigoriti dalla passione. Sarebbe stata un’identità coerente con la sofferenza della società sul mercato, obbligata a racimolare ciò che trova a costo zero e, di più, a raccogliere soldi qui e là. Si sarebbero riconosciuti anche i tifosi, anche perché la resistenza fa parte dei migliori successi nella storia nerazzurra. Inzaghi l’ha capito solo per la Champions, dove infatti va a gonfie vele: per il campionato propone un’Inter che pretende di dominare senza avere le armi per farlo. 

L’andata con il Benfica è migliore di entrambe le prestazioni con il Porto. L’Inter è più convinta, ordinata e organizzata nell’elaborazione della proposta offensiva. Non a caso il gol di Barella arriva da un’azione preconfezionata: la classica avanzata di Bastoni spalancata dal movimento a ventaglio dei compagni. È anche la conferma che questo gruppo è a fine ciclo ma, al suo interno, ha cinque o sei pilastri - forti, mediamente giovani e magari italiani - attorno ai quali ricostruire.

 

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