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Inter, il grande segreto di Inzaghi: cosa è successo prima della semifinale

Claudio Savelli
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Il Milan non può fare di più, l’Inter non potrebbe fare di meglio. La sfida è tutta in questa dicotomia. Si decide quando non succede nulla, ovvero nei primi venti minuti di gioco in cui i rossoneri vanno oltre il livello attuale mentre i nerazzurri non si scompongono di fronte ad un pressing ultraoffensivo. Il Milan non ha la forza per andare oltre quella soglia, l’Inter ha la lucidità e la consapevolezza necessarie per resistere all’onda d’urto iniziale senza mostrare segnali di cedimento. La squadra di Pioli è come un pugile che scarica la più feroce raffica di pugni ma, vedendo l'avversaria che incassa senza batter ciglio, si domanda se potrà mai farcela. Così, lentamente, allenta la pressione e permette all’Inter di entrare in partita, di alleviare il ritmo, di lasciar correre il tempo verso la finale.

Il Milan pensava di sorprendere l’Inter, ma quest’ultima si dimostra preparata ad un avvio di gara opposto rispetto a quello dell’andata. In questo è evidente la capacità di Inzaghi nella preparazione delle sfide ad eliminazione diretta. L’Inter è più matura del Milan, è più avanti nel processo di crescita e lo dimostra. È scontato chiedersi come possa aver perso lo scorso scudetto e non essersi mai nemmeno avvicinata a quello vinto dal Napoli. La meritata lode guadagnata in Champions mette in luce, di riflesso, i due campionati da matita rossa. Non si può fare lo stesso discorso su Pioli che ha portato il Milan oltre le sue possibilità sia lo scorso anno sia questo, solo che lo ha fatto una volta in serie A e una volta in Europa, mai insieme. La spiegazione più semplice del doppio rendimento nerazzurro è l'anatomia della squadra. L’Inter è da coppa perché ha giocatori in avanti con l’età che rendono di più se giocano meno e per grandi obiettivi.
 


Ne è prova vivente Dzeko, ora sempre tra i migliori in campo perché ha potuto ridurre al cinquanta percento gli sforzi. L’altra variabile è Inzaghi, evidentemente tecnico da coppe. Forse uno dei suoi pregi - saper infondere serenità ai calciatori- diventa un difetto quando c'è poca tensione, ovvero nella routine del campionato. È l’esatto opposto della squadra che ha ereditato da Conte, migliore sul lungo periodo, sulla resistenza mentale durante la stagione. Quella Inter era meccanica, rendeva in serie A perché giocava molte gare senza dover nemmeno pensare, le bastava seguire le tracce memorizzate in allenamento. Questa Inter è l’antitesi della versione da cui è nata. È creativa, corale, non ha giocatori in grado di saltare l’uomo e prescindere dal gioco quindi è obbligata a pensare di più. E più pensi, più energie spendi. È anche, di riflesso, una formazione più flessibile, malleabile e dinamica rispetto alla precedente. Perfetta per le partite di coppa e, soprattutto, di Champions, una diversa dall’altra e con all’interno numerosi momenti differenti. Con il Milan, ad esempio, gioca due gare diverse, opposte, entrambe perfette. La finale è meritata, come i precedenti passaggi del turno. Ecco perché l’Inter può dire la sua anche in finale.

 

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