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Federica Pellegrini, la rivelazione di Vittorio Feltri: "Per cosa prova orrore"

Vittorio Feltri
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Andando a sentimento, la cosa che più mi avvicina a Federica Pellegrini è il suo orrore perla promiscuità dell’acqua, che è meno un paradosso di quanto sembri, e che io condivido: ho letto infatti che la nuotatrice italiana non ama il mare perché la sua profondità e il buio ignoto che contiene la intimidiscono. Pure io sono un saldo avversario del mare e dei laghi, anche se per un motivo prosaico e di verso opposto: mentre lei teme quanto sotto si possa andare, a me inquieta ciò che potrebbe galleggiare. Per questo anche io, se proprio devo nuotare, cosa che tutto sommato mi piace, preferisco la piscina, meglio ancora se di qualcuno che conosco e delle cui abitudini igienico-acquatiche mi fido.

Io sono un tifoso del cloro. Faccio queste considerazioni perché, se nel mio caso a parlare è uno schifiltoso di prima categoria, nel suo è uno dei mille indici, fra grandi e minuscoli, della libertà mentale della nostra campionessa. Una delle più grandi nuotatrici di tutti i tempi che in certi casi non ama l’acqua: mi piace. Ho cominciato a capire quanto la Pellegrini sia speciale, con quella doppia natura di sportiva e di donna di spettacolo, quando, a fronte delle sue ripetute imprese da velocista in vasca, ho pensato a quanto il nuoto sia spesso uno sport ingrato per chi ci dedica la vita. Non è l’unico, per carità, ma oggi parliamo di questo. Il nuoto, infatti, è uno sport spietato con il corpo e agro con le menti non perfettamente disciplinate. Rispetto al calcio, al tennis, alla pallacanestro, non offre il fianco alla fantasia, non dà possibilità di sfuggire a una sconfitta con un colpo di teatro: il nuoto non ha gol in rovesciata, non ha volée e passanti che chiamano gli applausi, né canestri all’ultimo centesimo, né strategie da scacchista. Non c’è lo spazio per tracciare traiettorie dadaiste, non si possono curvare palloni in luoghi sottili, perché le curve nemmeno ci sono: la linea del nuoto è una sola, è cucire la vasca di dritto e di rovescio, avanti e indietro, più veloci che si può. Ma anche in questo è una velocità diversa da quella di un pilota da corsa, come Villeneuve che andava a sbattere perché voleva provare se una svolta poteva essere affrontata «a tutta». La velocità del nuoto è ingrata, è incatenata al ritmo più che alla sorpresa, è partorita dalla gestione dell’energia più che da uno spreco generoso.

 


COSTRETTA A VINCERE
Difficile, insomma, essere un eroe in una disciplina così dura, e anche così onesta, per cui non puoi schivare una sconfitta con un numero da circo. Sei costretto a vincere, il «bel perdente» è una figura non prevista. Si è vestiti più o meno tutti uguali, la bravura è misurata sulla perfezione nel ripetere lo stesso gesto, perfino lo spettacolo delle forme nello sforzo atletico è mortificato, più di metà del corpo è sotto la linea dell’acqua, quel che resta fuori è annebbiato dal pulviscolo agitato dalle bracciate. Forse è lo sport più solitario che ci sia. Non è un caso che l’andante delle mamme che portano i figli in piscina è: «Il nuoto è l’unico sport completo».

«Completo», quindi con un’identità che non prevede la crepa del difetto, della mancanza umana attraverso cui passa la luce. Garrincha non avrebbe mai potuto nuotare. I corpi stessi dei nuotatori sono un’esagerazione della perfezione, di una estetica quasi unisex. Non fraintendetemi, il corpo della Pellegrini è bellissimo, ma di una bellezza scolpita per il fare, non per l’apparire. Non è un modello ma un paradigma; non rappresenta un ideale patinato, ma una concreta conformazione dedita alla massima efficienza. Non conosce fotoritocco, non conosce chirurgia plastica, anche le diete sono funzionali invece che isteriche e decorative. Per questo la Pellegrini è una grande sdoganatrice al popolo del suo sport, oltre che una stella di prima grandezza portatrice di undici record del mondo. La sua seconda natura, di giovane donna per niente sovietica cui piacciono le cose femminili, si mischia con sorprendente sapienza all’atleta suprema. Per entrare nell’immaginario collettivo fare su e giù in una vasca piena d’acqua non è in sé attraente, è lei che lo fa diventare sexy. Per questo, credo, la chiamano «Divina».

 


Di atlete belle e forti ce ne sono state altre, e anche dedite al gossip, Laure Manaudou, con la quale ha ingaggiato un duello a colpi di primati, o Franziska van Almsick, ma solo Federica ha resistito per vent’anni alle cadute e agli urti del tempo. Dichiara che il suo sogno è sempre stato di essere la prima sportiva a fare cose riservate ai maschi (ha una venerazione per Oriana Fallaci): ma mentre con una mano dispensa medaglie all’Italia, con l’altra mostra al pubblico dei social la pelle tatuata (mi pare sia arrivata aundici), porzioni del suo corpo, un giorno i glutei semicoperti, un giorno le unghie pittate, un giorno una mise vedo-non vedo, un altro i capelli viola da assassina psicopatica (commento non mio) e così via, con arguzia e un ferino istinto di provocatrice. È in questo modo che la Pellegrini ha fatto diventare bello uno sport da batteristi, privo di spazi utili per la creatività; anzi, lo dico senza intenzione di offendere, piuttosto brutto da guardare, le cui strategie sono invisibili e la cui essenza è la prevalenza fisica e quindi perfettamente olimpico. La intravedi soggiogare le avversarie nella nebbia di gocce d’acqua e pensi all’altra Federica, quella che si fa fotografare con ai piedi delle pinne con il tacco (fu un regalo di Fabio Fazio quando andò ospite di «Che tempo che fa»).


ANSIA E ATTACCHI DI PANICO
Riuscire a essere due cose e rimanere la stessa persona espone all’irrequietezza. Essere irrequieti indirizza l’ansia: per esempio quella che per un periodo la fece cadere in attacchi di panico che la prostrarono tanto da farci temere che gettasse la spugna, tentazione che non ha mai nascosto di aver avuto. Ha mangiato più allenatori lei di Maurizio Zamparini nel calcio, dopo la morte del suo guru, nel 2009, Alberto Castagnetti, che l’aveva cresciuta in vasca, fino all’incontro con Matteo Giunta, che la guida dal 2014. Giunta è stato anche il coach di Filippo Magnini, con cui la Pellegrini ha avuto una relazione lunga e tormentata, e il capitolo fidanzati è un altro tasto dolente del mondo chiusissimo del nuoto professionistico. Magnini (per un periodo) condivise il cuore della Pellegrini con il quattrocentista Luca Marin, che ne era il compagno dal 2008 (con molto nervosismo di Castagnetti), il quale a sua volta era stato il fidanzato dell’eterna rivale Laure Manaudou. Telenovele.

SVIARE LE ASPETTATIVE
La Pellegrini è irrequieta anche nel modo con cui cerca regolarmente di sviare le aspettative altrui. Nel 2013 disse a tutti che per i Mondiali di Barcellona aveva preparato solo i 200 dorso, che andarono male. Allora disse che già che era lì avrebbe provato i 200 stile libero: vinse l’argento, e poi lo rivinse a Kazan nel 2015. Annunciò che non avrebbe più corso il 200 stile libero, poi vinse l’oro a Budapest nel 2017. Periodicamente buttava lì che si voleva ritirare; subito dopo ha sempre piazzato un colpo. Ai Mondiali di Hangzhou, nel 2018, grande delusione per il quarto posto sui 200, disse che si era preparata giusto un paio di mesi e finse di essere soddisfatta. I 200 stile libero sono la sua gara. Ha provato con la distanza dimezzata, ma è troppo corta, la sua forza è la rimonta, e per la rimonta serve spazio: Federica funziona come una molla, per cui, una volta caricata, negli ultimi 50 metri, mentre le altre controllano o faticano, lei comincia a spingere come una turbina.

L’altra sua gara è non farsi mettere le briglie. Non ebbe esitazioni a rifiutare di portare il tricolore alla cerimonia inaugurale delle Olimpiadi perché non voleva stare per ore ferma in piedi con le gare in vista poco dopo. Gli italiani sono patriottici zero e moralisti a mille, ne seguì una canèa che durò giorni. Non fece una piega. Vien da ridere a farle gli auguri. I Giochi sono stati più volte la sua kryptonite: Londra 2012, Rio de Janeiro 2016, due delusioni a un soffio dal podio, dopo preparazioni accurate e trionfi benauguranti. Fa niente: nel suo medagliere un oro olimpico c’è, a Pechino nel 2008 (prima italiana a vincere un oro nel nuoto) più un argento ad Atene nel 2004, la più giovane medagliata italiana nella storia, aveva 16 anni. Perse l’oro per distrazione, non si accorse che la romena Camelia Potec stava arrivando da una corsia lontana e finì beffata. Ma soprattutto 6 ori, 4 argenti e un bronzo ai Mondiali; 7 ori, 4 argenti e 4 bronzi agli Europei. Un po’ peggio a recitare negli spot pubblicitari, dove, per quanto ho potuto vedere di recente in TV, mostra ancora un certo impaccio che fatica a mascherare senza risultare artificiale e antipatichina. Mara Maionchi, che è una scout di vaglia, ha raccontato di essere rimasta impressionata dalla sua capacità di concentrazione. Quando a Federica, smessi i costumi e gli allenamenti, toccasse applicarla a tempo pieno a una nuova carriera, per molte attricette e soubrettine potrebbero esser dolori. 

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