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Livorno, la curva pro-Hamas non vuole il presidente ebreo

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Hamas in curva nord: fra poco il presidente del Livorno calcio, Joel Esciua, sarà costretto a denunciare con toni ancora più alti quel che succede allo stadio. E già, perché la guerra in Medio Oriente arriva anche sugli spalti dell’impianto della società toscana, con uno scontro durissimo tra tifosi e patron arrivato dall’altra parte del mondo, un brasiliano ebreo. E pensare che a Livorno dimora anche la locale associazione Italia-Israele, male bandiere sulle gradinate sono solo palestinesi.

Ora è vero che la città è di tradizione rossa, rossissima, ma sembra un romanzo d’amore strappato quello tra il presidente e la tifoseria. Certo, ci sono anche decisioni tecniche, ma la sfida politica di derivazione internazionale è quella che mette più sale in una storia che ormai si colora di odio. Joel non vuole vedere allo stadio bandiere palestinesi e del resto è ciò che accade ovunque tra gli uni e gli altri, e tutto si è inasprito dopo il 7 ottobre. Scorre sangue da una parte e dall’altra e potremmo definire normale l’atteggiamento del presidente di una squadra di calcio che non tollera di vedere assisi in curva i sostenitori del nemico. Però non è un derby tra Gaza e Tel Aviv.

La tifoseria amaranto ha messo in piazza – sui social – tutto il proprio malcontento. Eppure, dal punto di vista societario, il presidente tenta di fare il suo dovere: nelle ultime ore ha rimborsato i biglietti per un incontro perso a tavolino dal Livorno per aver fatto giocare un calciatore squalificato. Niente da fare, non può imporre – dicono gli ultrà – la sua volontà sul conflitto in Medio Oriente. W la Palestina rossa e libera, è il grido che si alza dalla curva.

I tifosi vogliono che il presidente se ne vada. Li ha fatti arrabbiare nella loro identità politica, come se quel suo essere ebreo possa diventare una colpa da scontare anche nei novanta minuti di una partita di serie D. Rischiano di passare per razzisti.

Eppure Esciua è arrivato a Livorno con l’obiettivo di far promuovere la squadra nella serie superiore, la C, ma questo non basta: «La dignità e la solidarietà», affermano, «non hanno prezzo, noi non siamo in vendita, tantomeno al primo chiacchierone che passa».

I decibel hanno raggiunto livelli altissimi. Il calcio è solo l’occasione per strillarsi addosso la domenica, quel che conta non è una squadra ma, ad andare bene, i due Stati e i due popoli, oppure – e sembra la soluzione che va per la maggiore – la cancellazione dello Stato di Israele.

Per i capi ultrà «esporre le bandiere della Palestina è un atto di solidarietà verso un popolo che soffre. Lo fanno anche in Inghilterra, che Esciua porta come modello, tifoserie politicizzate e non. Perché tanti sono gli ebrei nel mondo che hanno la stessa nostra posizione. Purtroppo a noi è toccato uno allineato con le politiche del governo Netanyahu». Gli osservatori locali notano che però non si è mai visto neppure uno stendardo di Israele.

E pare vero che il presidente del Livorno abbia chiesto alla Digos di non consentire l’ingresso allo stadio delle bandiere palestinesi, ed è in apertissimo contrasto con la tifoseria che non gliene manda a dire. Lo scontro è ormai aperto, per fortuna senza razzi. I tifosi della Nord rivendicano di aver sempre inneggiato alla Palestina e la tifoseria livornese è tradizionalmente vicina alla sinistra. Il patron del club, in una intervista, li ha sfottuti: «Nella città che ha dato i natali a Modigliani, Mascagni e Ciampi, può essere che si debbano andare a cercare idoli e miti in America latina o in Medioriente?». 

Ogni riferimento alla maglietta con Che Guevara indossata da capitan Lucarelli qualche tempo addietro era puramente voluto... Apriti cielo. Siamo davvero al triplice fischio finale tra società e tifoseria. Il presidente dice di volere pace e serenità almeno allo stadio, visto che in Medio Oriente non dipende né da lui né dai tifosi. Ma il cammino è ancora lungo. Quando negli stadi entrano fattori estranei al pallone non si sa mai come si va a finire. Le scintille esplodono per un nonnulla. 

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