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Maignan, Dino Zoff: "I razzisti una minoranza, assurdo chiudere gli stadi"

Dino Zoff

Leonardo Iannacci
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Non è solo il mondo del calcio che sta impazzendo quando rispuntano episodi di razzismo negli stadi: tutto quello che gli sta attorno tracima e dispensa provocazioni ideologiche che non stanno nè in cielo nè in terra ma servono come campagna elettorale. L’argomento è delicato e porta a interpretazioni allucinanti. Così, per abbeverarci a una fonte di saggezza limpida e senza impurità, siamo andati a trovare un uomo che il football lo ha attraversato a 360 gradi e in modo tetragono: da calciatore divenuto campione del modo, da allenatore, infine da presidente: Dino Zoff. Un senatore della repubblica calcistica da ascoltare con attenzione.

Commendatore (lo chiamiamo così, lo è da Spagna '82), affrontiamo un argomento spinoso: sabato sera un suo collega di ruolo è stato costretto ad abbandonare la porta per i cori razzisti che la curva dell’Udinese gli dispensava. Cosa ha pensato?
«Mi fa proprio parlare di un aspetto del calcio che ho sempre detestato. La violenza va ovviamente condannata ma sabato sera non mi sono purtroppo stupito più di tanto. Se leggete le cronache dei giornali, certi episodi sono all’ordine del giorno, e non solo dentro gli stadi. Per questo l’ultima cosa da fare è condannare il calcio che difendo come ho sempre fatto».

Una certa frangia politica è arrivata persino ad adombrare la chiusura degli stadi. Lei sarebbe favorevole?
«Stiamo scherzando, si tratterebbe di una vera assurdità. Io ero, sono e sarò per sempre un uomo di sport e gli stadi sono i teatri di noi atleti. Chiuderli equivarrebbe a dire che il lo sport sta arrendendosi a certe cose».

 



 

Ai suoi tempi accadevano episodi come quelli di Udine?
«La violenza c’è sempre stata, quando a inizio partita arrivavo vicino alla porta sentivo di tutto su di me. Quando abbiamo vinto il campionato del mondo, nel 1982, le cose sono migliorate per me ed erano più gli applausi che le offese, ma prima mi arrivava di tutto. In realtà il rumore dei petardi copriva in parte la sequela di offese per cui ricordo soltanto la metà degli insulti. Ricordo che quando ero portiere del Napoli prima di passare alla Juventus e giocavamo al Nord, gli imbecilli non si risparmiavano».

Cosa le accadeva?
«Gli insulti non mi colpivano più di tanto, cercavo di non farci caso ma gli oggetti che volavano dalle curve sì, mi tiravano qualunque cosa».

A Maignan hanno fatto il verso della scimmia...
«Questi risvolti criminali e razzisti sono aumentati rispetto ai miei tempi. In questo si esagera e la deriva è oggettivamente pericolosa».

Il portiere del Milan voleva uscire dal campo, poi l’arbitro e i compagni lo hanno fatto desistere dal gesto: lei come si sarebbe comportato?
«Questo non riesco a dirlo con certezza ma comportamenti al limite posso affermare che ci sono sempre stati. L’aspetto razzista, oggi, fa la differenza ed è ovviamente da sopprimere».

Alcuni parlamentari hanno parlato degli stadi come “specchio della società che la destra fomenta”.
«Non vorrei entrare in discorsi politici, non l’ho mai fatto. Posso solo dire che chi insulta è una minoranza, non l’intero stadio. Poi Udine è nella mia terra, i friulani li conosco».

 

 

Difatti non ci sembra di aver mai registrato conclamati episodi di intolleranza nella sua regione. Anche fuori dagli stadi, vero?
«Il 98% dei friulani ha derivazioni nei territori di confine, siamo italiani ma anche sloveni, austriaci, croati. È una regione multiculturale che non sa cosa significhi la divisione razziale».

Lei ha vissuto il calcio da giocatore, poi da allenatore e infine nelle stanze dirigenziali: la differenza con i suoi tempi?
«Che oggi si esagera in tutto: nella velocità del gioco, nei soldi che girano, nelle esasperazioni e, purtroppo, anche in certe cose negative come quella capitata a Maignan».

Lei è stato presidente della Lazio, un club che ha spesso avuto problemi con la curva per episodi di razzismo: ai tempi come affrontavate questi segnali culturalmente violenti?
«Ho sempre pensato che ci siano mille possibilità di intervenire contro chi prende a pretesto il colore della pelle per farsi notare. Serve più cultura, certo, ma all’interno di uno stadio è così difficile individuare certi personaggi e somministrare le punizioni relative? Ieri ne hanno già beccato uno a Udine».

Quindi stadi aperti?
«Spalancati. Chi fa i versi da scimmia a Maignan è una minoranza. Mi chiedo: perché mai chi ama vedere dal vivo una partita dovrebbe rimanere a casa e lasciare gli spalti deserti come ai tempi del Covid? Ripeto: è un’assurdità da evitare». 

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