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Ferrari, l'affondo di Cesare Fiorio: "Carlos Sainz meglio di Leclerc"

Leonardo Iannacci
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Quando si dice che la vita di Cesare Fiorio sembra un film, è pura realtà. Stratega dei trionfi rallistici della Lancia negli anni ’70 e ’80, poi team manager Ferrari in F.1 e infine mago dell’operazione Destriero, la suggestiva sfida ai record di alta velocità in pieno Oceano, Fiorio è stato un attore protagonista nella vita e ora, sullo schermo, è il mattatore di Race for glory, il film che narra la sfida fra Davide-Lancia e Golia-Audi nel mondiale rally 1983. Riccardo Scamarcio lo impersona realisticamente nella pellicola mentre Lapo Elkann veste i panni del nonno, l’avvocato Agnelli.

Fiorio, ha visto il film?
«Sì, Scamarcio è bravo a interpretare me stesso. La sinossi racconta l’incandescente mondiale rally 1983 fra la Lancia 037, un modello molto leggero con motore centrale e due ruote motrici, che sfidò e vinse contro i più potenti bolidi dell’Audi a trazione integrale».

All’epoca il gruppo Fiat e la tecnologia italiana sapevano tener testa ad avversari micidiali come erano quelli dell’Audi, vero?
«Le dico soltanto che quando andavo dall’Avvocato Agnelli per impostare la stagione rallistica, ricevevo sempre risposte entusiastiche. E concrete. Lo sport piaceva a quel management e la Lancia era ancora un grande marchio. C’era visione del futuro».

Lei ha vinto 18 mondiali in Lancia, poi la Ferrari...
«Arrivai e presi a mano una squadra che, dopo la morte di Enzo Ferrari, era da rifondare. Sono stato team manager Ferrari per 35 gran premi, 9 li abbiamo vinti e in 25 siamo saliti sul podio».

La Rossa oggi?
«Sono rimasto legato a Maranello anche se me ne andai malamente, a inizio ’91. Pensi, nel salotto della mia casa in Puglia ho esposto la carrozzeria della Ferrari F1-89 con cui Nigel Mansell vinse il gran premio del Brasile nel 1989. Se non è amore per la rossa questo...».

La Ferrari è la 2ª forza del Circus dietro alla Red Bull?
«È superiore a Mercedes e Aston Martin. E anche di McLaren che sta raccogliendo i frutti dell’illuminata gestione di Andrea Stella, ex di Maranello».

Carlos Sainz ha vinto in Australia: è rinascita vera?
«Calma, Verstappen è un fuoriclasse. Sainz mi piace come pilota: è veloce, bravo a interpretare le strategie, non fa errori, è solido».

Ma la prima guida non era Leclerc?
«Charles è bravo in prova ma fa troppi errori in gara».

Sainz può realisticamente vincere il mondiale?
«Soltanto se la SF-24 crescerà in prestazioni».

C’è da fare un ragionamento sull’addio a Sainz a fine anno, no?
«Certo. Privarsi di un pilota così veloce è un rischio. Sainz andrà in un top team, magari in Red Bull al posto di Perez. Oppure in Audi nel 2026 perdendo però un anno».

Per Sainz si paventa comunque un 2024 imbarazzante, da futuro ex.
«La decisione di Maranello su Carlitos è stata grave sul piano psicologico. Dovrà fare tutta la stagione sapendo che non sarà riconfermato».

E il 40enne Hamilton a Maranello? Un acquisto eclatante o un errore?
«È un campione: porterà esperienza, forse non velocità»

Verstappen lascerà la Red Bull dopo il caos interno alla squadra?
«Non penso, la Mercedes ha perso troppi tecnici e non è più competitiva».

Tra il 1989 e il 1990 lei vinse tanto a Maranello, perché lasciò la Ferrari?
«Al mio arrivo portai Prost. L’idea era quella di ricreare in Ferrari il duo McLaren con Senna. In gran segreto andai a casa di Ayrton, a Montecarlo, e raggiunsi un pre-accordo».

Un piano perfetto che svanì nel nulla?
«Sì. Avremmo avuto il miglior pilota di sempre e lo avrei tolto alla concorrenza. Tornato a Maranello il presidente di allora, Piero Fusaro, mi gelò: finché sarò qui io, Senna non metterà piede in Ferrari. Avevo tutti contro, Prost compreso. Me ne andai sbattendo la porta».

Senna in Ferrari resta il suo grande rimpianto?
«Il mio grande dolore. Pensate cosa avrebbe combinato il 31enne Ayrton in rosso...».

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