Cerca
Cerca
+

Milan, Paulo Fonseca e Matteo Gabbia: ecco dove nasce l'intuizione decisiva

Claudio Savelli
  • a
  • a
  • a

Il calcio vede e provvede. Vede un Milan finalmente squadra, con un’identità autentica e sincera, e provvede a premiarlo con un gol-vittoria nel finale del derby. Di chi? Ovviamente di Matteo Gabbia, l’unico italiano in campo tra i rossoneri e, cosa ancor più importante, l’unico milanista. Scrivevamo alla vigilia della mancanza di un blocco italiano nel Milan come differenza rispetto all’Inter nei momenti di difficoltà: ecco, Gabbia da solo ha formato questo blocco.

Non è casuale il suo gol perché su quel pallone ci arrivi solo con rabbia agonistica, voglia di rivalsa accumulata in sei derby persi di fila e senso del pericolo per una stagione che rischiava di sfaldarsi sul nascere con un allenatore sulla graticola, una dirigenza che ha molto da imparare e una contestazione in atto. Sono cose che solo un figlio del club sente. Gli altri le possono assorbire più o meno bene ma non saranno mai così profonde. A conferma della non-casualità del gol di Gabbia c’è Dimarco che, dall’altra parte della barricata, è stato nettamente il migliore, non solo per il momentaneo pareggio ma per la prestazione, l’atteggiamento, l’attenzione.

 

 

Guarda caso anche lui è l’uomo cresciuto nel vivaio del club e, come Gabbia, andava a San Siro da tifoso. Matteo ha raccontato che erano i nonni, abbonati al primo arancio, a portarlo allo stadio, e lui indossava la maglia di Sheva anni prima di entrare nelle giovanili del club (a 12 anni fu segnalato e ingaggiato dal Milan). Come Dimarco, Gabbia si è preso il Milan in modo inatteso, dopo un’esperienza all’estero che poteva essere spiegata in una sola parola: bocciatura. Un’estate fa veniva ceduto in prestito al Villarreal perché era l’ultimo dei centrali nella gerarchia di Pioli e non avrebbe visto il campo, se tutti fossero stati sani.

E in Spagna parte con il piede giusto, gioca da titolare per sei volte in Liga e cinque in Europa League, ma a metà novembre finisce improvvisamente in panchina. Il motivo? Il Milan lo aveva prenotato per il ritorno visti gli infortuni, chiedendo al Villarreal di preservarlo. Quella breve ma intensa esperienza in un altro campionato lo ha completato. Era la prima volta che Gabbia metteva il naso fuori dall’Italia e la seconda fuori dal Milan. Per un anno, il 2018/19, aveva infatti giocato in prestito nella Lucchese, in serie C. Il classico percorso di un prodotto del vivaio che, dopo la Primavera, viene giudicato acerbo per la prima squadra e pure per la serie B, campionato in cui anni fa vigeva un’idea retrograda e ai centrali di difesa veniva richiesta esperienza. Dunque la serie C è l’unico approdo per giocare con continuità e, come si dice, farsi le ossa tra i grandi.

Gabbia ci va, mette insieme 30 presenze e oltre 2600 minuti che in un anno non metterà mai più insieme, almeno finora. Dopo il derby è destinato a prendersi la titolarità, anche per dare un senso alle parole di Gerry Cardinale dalla “Giornata dello Sport Italiano nel Mondo” tenutasi a New York: «Faremo tutto il possibile per vincere, ma in modo intelligente. In America chi spende i soldi è il proprietario della squadra, in Italia i tifosi credono che la squadra sia di loro proprietà e dobbiamo lavorare per soddisfare questo concetto».

Il rientro anticipato dal prestito è la svolta per Gabbia. Torna per rimediare all’emergenza ma da quel momento è il miglior centrale a disposizione del Milan. Se ne rende conto Pioli che in mezza stagione lo schiera 18 volte in campionato di cui 14 da titolare, più 6 in Europa League e una in Coppa Italia, tutte dall’inizio. Ne salta solo una per scelta tecnica (contro l’Empoli lo scorso marzo) perché nell’altra (contro il Torino alla penultima di campionato) è squalificato. Da oltre mezza stagione, e non da un paio di giorni, è un pilastro del Milan, solo che nessuno lo ha notato. D’altronde Gabbia è così: invisibile.

Un difensore che non eccelle in niente - non è particolarmente veloce né pulito a impostare - ma è abbastanza bravo in tutto da limitare al minimo gli errori. I vecchi saggi del calcio dicevano che il buon difensore è quello che non si fa notare e per Matteo è vero, salvo eccezioni come un gol allo scadere del derby che riconsegna Milano al Milan. Al suo Milan.dal settore giovanile dell’Inter.

 

Dai blog