L’Inter vince questa incredibile semifinale, anche se non ne aveva bisogno. Aveva già ottenuto un "trofeo" più prezioso di quello dalle orecchie grandi che potrà alzare a Monaco, ovvero la possibilità di poter rigiocare partite del genere con la stessa frequenza di questi anni. Da questa Champions League ha ricavato circa 150 milioni. Centocinquanta. Vuol dire un terzo del fatturato del club. È tantissimo. A differenza di altre società, non ci è arrivata attraverso un investimento smisurato da "un’annata e via" ma con un percorso di crescita organica. Per questo ha vinto anche se non alzerà la coppa.
E per questo l’eventuale coppa sarà diversa da quella del 2010: allora fu l’inizio della fine, ora potrebbe essere un nuovo inizio. È un altro mondo e l’Inter ha intuito e messo in pratica in anticipo una filosofia controintuitiva per il tifoso italico: è più importante "poter vincere" trofei ogni stagione piuttosto che "vincerli tutti". Se avesse davvero scelto la competizione da giocare al massimo come molti tifosi le chiedevano di fare, sarebbe rimasta dov’era. Un grande club a livello locale più che internazionale. Magari avrebbe un trofeo in più in bacheca ma meno probabilità di averne uno il prossimo anno. E così via, fino a ritrovarsi d’un tratto al decimo posto in classifica, fuori dall’Europa e senza i suoi introiti, con una società in cui nessuno vuole investire il proprio denaro (l’azionista) o la propria carriera (dirigenti, allenatori e calciatori).
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Una partita straordinaria, destinata a rimanere nella storia. L’ha vinta l’Inter per 4-3 sul Barcellona, rea...Mentre nei nostri salotti si misura la bontà di un’annata a seconda di quanti "tituli" si mettono in bacheca, negli studi internazionali sono mesi che si parla bene dell’Inter a prescindere da cosa vincerà. È la pubblicità più buona che esista. Non te la porta un trofeo ma il percorso per provare a vincerlo e quello intrapreso dall’Inter è degno di nota. Sta dimostrando all’Europa che si può competere con Yamal spendendosi, più che spendendo. Il modo di lavorare e le competenze sono una calamita per giocatori intelligenti che diranno al compagno di nazionale che l’Inter è un club in cui si sta bene, si gioca bene, si rende. Così la società nerazzurra si affaccia al prossimo e decisivo mercato (dovrà inserire valore e gioventù, ristrutturando una costruzione che accusa l’età) con un appeal perfetto. Una moneta più preziosa del denaro perché la Premier League sarà sempre in grado di offrire di più. Sempre più calciatori vorranno giocare in un club che vuole disputare 60 partite e, per riuscirci, deve per forza di cose avere 22 titolari. Non sarà più la società a volere i grandi giocatori ma il contrario. Il tutto in un momento storico in cui i club sono deboli nei confronti di agenti e giocatori stessi. Nel calcio di oggi questa deve essere considerata una vittoria. Altrimenti è meglio darsi all’ippica.