Nel tennis abbiamo il numero uno al mondo, tre coppie di doppio che macinano finali, altri due in top 10 mondiale e un vagone di talenti destinati a brillare. Negli sport invernali diversi fuoriclasse. La nuova generazione del nuoto scriverà la storia. Nella pallavolo ci guardano dal basso. Nel rugby siamo sempre più una realtà. Nell’atletica ormai la prima forza europea e, di riflesso, una potenza mondiale. L’unico sport che non funziona è il calcio, che poi è anche quello che incassa più soldi dal Coni (circa 30 milioni all’anno, quasi il doppio di pallavolo e nuoto che sono sui 17). Ma i soldi non sono il problema e nemmeno una soluzione. Servono competenze e idee.
Persone capaci, consapevoli e umili abbastanza da capire che il calcio è diverso dagli altri sport (i giocatori appartengono ai club e la federazione ha poco controllo, anche a livello giovanile) e bisognerebbe renderlo simile (stringendo accordi in tal senso, copiando modelli esteri). Intanto, non avendo fuoriclasse come negli altri sport italiani, andrebbe cambiata l’idea della prima squadra nazionale: non più un punto di arrivo ma un laboratorio di calcio in cui non vanno i migliori, o presunti tali, ma i più adatti a un’idea di gioco contemporanea. Quindi che preveda un sistema di gioco con esterni offensivi che saltino l’uomo, centrocampisti che coprano tutto il campo e tutte le funzioni, difensori che accettino l’uno contro uno.
Spalletti addio? Voci clamorose
Siamo alla fine di un percorso? Al momento è difficile saperlo, ma a giudicare dagli #spallettiout che inondano i...ALLENARE La soluzione non è far tornare "i bambini a giocare in strada" ma allenare i giovani senza pensare al risultato, al trofeo, alla gloria. Servirebbero figure tecniche nei posti di comando per una simile rivoluzione. Gravina, in carica dal 2018, si è illuso della forza del movimento con l’Europeo vinto e conduce la Federazione come oggetto politico più che tecnico. C’è chi invoca il commissariamento: soluzione utile solo se conducesse all’elezione di una federazione molto tecnica e poco politica. Un’utopia in Italia.
Una figura tecnica potrebbe finalmente dire che siamo scarsi e venire ascoltata. Sarebbe un punto di partenza. Coppola, buona anima che all’esordio ha pure giocato discretamente, dopo la partita ha detto: «Siamo più forti della Norvegia». Ecco, non è vero. Lo eravamo a fatica dieci anni fa quando l’Italia di Conte la batteva 2-1 nelle qualificazioni per l’Europeo. C’erano Buffon, Barzagli, Bonucci e Chiellini e poi Darmian e De Sciglio esterni, Florenzi, Montolivo, Soriano in mezzo, Pellè ed Eder davanti.
Brividi. Dieci anni dopo noi siamo dello stesso livello, usiamo ancora il 3-5-2, non abbiamo calciatori contemporanei, mentre loro hanno prodotto Haaland, Odegaard, Nusa, Sorloth, Bobb, Larsen, Schjelderup: attaccanti, ali e mezzali che assecondano la direzione del gioco del calcio. C’è solo un vantaggio ad appartenere alla serie B del calcio per Nazionali, solo che non ce ne siamo ancora accorti: non siamo obbligati a vincere. Potremmo smettere di inseguire la vittoria all’Europeo o la qualificazione al Mondiale e darci il tempo (almeno 10 anni) per tornare forti, creando atleti che giochino il calcio del presente e del futuro. Dieci anni in cui non dobbiamo fare risultato se non produrre calciatori di valore. Avessimo iniziato a farlo nel 2014, quando giocavamo l’ultima partita di un Mondiale della nostra storia, forse ora saremmo dello stesso livello della Norvegia.