Niente sembra accomunare Maddalena Bianchi, la diciannovenne bellunese che ha deciso la settimana scorsa di protestare facendo scena muta all’esame di maturità, e Jannik Sinner, il ventitreenne altoatesino leader del tennis mondiale che pochi giorni dopo ha conquistato Wimbledon. Nulla se non una certa vicinanza geografica dei luoghi d’origine e l’appartenenza alla cosiddetta “generazione Z”, quella di coloro che sono nati cioè nei primi anni del secolo. La distanza siderale fra questi due giovani non è tanto nei successi ottenuti (quelli di Sinner non sono francamente alla portata dei più), quanto nella loro mentalità, nel modo di affrontare la vita, appunto nella loro diversa maturità. Potremmo dire, in linea generale, che il modello Sinner è quello che ha fatto grande l’Occidente nei secoli, mentre la mentalità di Maddalena è quella che ha preso il sopravvento, sempre in questa parte di mondo, negli ultimi decenni.
La studentessa di Belluno, detto in altri termini, rappresenta in pieno lo spirito maggioritario nel nostro tempo. Tanto che non è un caso se il suo gesto, così come quello del suo coetaneo di Padova che l’aveva preceduta nella protesta, abbia trovato la “comprensione”, e spesso l’approvazione, di una vasta pletora di intellettuali, politici, genitori, associazioni di categoria. Quale sia questo spirito lo si desume chiaramente dalle sue stesse dichiarazioni: la protesta era diretta contro i meccanismi di valutazione scolastica, l’eccessiva competitività, la mancanza di empatia di docenti poco interessati a scoprire la sua “vera me”. In poche parole, Maddalena ha messo sul tavolo i dogmi del pedagogismo e dello psicologismo che hanno infestato la scuola e la cultura di massa per l’azione di un sessantottismo di maniera, prima, e della cultura woke, poi.
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Ha commentato una delle pagine di sport più importanti della storia per l’Italia, si è emozionata e ...Per questa cultura, il giovane deve essere protetto, rassicurato, immunizzato dalle insidie della vita: rinchiuso in una campana di vetro, egli deve essere sottratto ad ogni valutazione del suo comportamento e deve poter scansare gli impegni e i sacrifici, essendo comunque apprezzato per la profondità e autenticità del suo vissuto interiore. Un ideale iperdemocratico che non fa crescere, rendendo inadatti alla vita e alla sua dialettica che è lotta e sacrificio. Un ideale che crea, in fin dei conti, disagiati psichici o persone miti come le pecore a cui faceva riferimento Kant in un celebre passo, gregarie per natura e perciò prive della libertà. Questa forma mentis si è incrociata facilmente con il protezionismo statalista della sinistra, ma anche, paradossalmente, con i grandi interessi delle multinazionali del commercio, non a caso impegnate spesso in prima fila nella promozione della cultura woke e nella destrutturazione dell’individuo, cioè dell’uomo libero e responsabile della tradizione occidentale.
Tutt’altro il modello di mentalità rappresentato da Sinner. Sinner ha realizzato un sogno perché lo ha costruito, con tanto lavoro e tanti sacrifici, avendo sempre davanti a sé nuovi e più alti obiettivi da raggiungere. Il suo primo maestro ci ricorda che mentre «gli altri uscivano, lui era sempre ad allenarsi, doveva andare a letto presto». Raggiunto un obiettivo, diceva: «Ho fatto tanti sacrifici, non mi accontento». Se oggi si gode fama e ricchezza, egli ricorda a tutti col suo esempio che non esistono pasti gratis. E ci ricorda anche che si vince soprattutto con la testa, lavorando su se stessi e non arrendendosi davanti alle sconfitte che vanno messe sempre nel conto (a Parigi Jannik con Alcaraz aveva perso). Lo sport moderno è nato nei paesi anglosassoni perché è fondato sullo stesso principio su cui è fondata la civiltà liberale, che in quei paesi ha avuto il battesimo: la competizione. La quale non è qualcosa di cattivo e da evitare, come crede Maddalena, ma è ciò che fa crescere l’individuo e la società. Essa è, etimologicamente, un “cercare insieme” l’eccellenza. E bene fa Sinner a ringraziare sempre i suoi compagni di viaggio.