La Premier dei Leoni divora il nostro mercato

di Claudio Savellivenerdì 15 agosto 2025
La Premier dei Leoni divora il nostro mercato

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 Il mercato estivo, da rito collettivo di sogni e speranze, si è tramutato in un esercizio di frustrazione, un dannato labirinto in cui le società italiane si muovono come Teseo senza il filo. Prezzi gonfiati e pretese irragionevoli sono all’ordine del giorno. È ormai palese l’alterazione delle regole del gioco, inteso come calciomercato (per fortuna il gioco in senso stretto è ancora aperto alle vittorie dei “poveri”). Alterazione causata da pochi a discapito di tanti. La Premier League non è più un campionato, è un mostro a venti teste che ha assorbito anni di introiti fantasmagorici dai diritti televisivi. Ora anche il club inglese meno prestigioso può pensare e agire come un’aristocratica del calcio continentale. Non più solo Manchester, Liverpool o Londra, ma un intero sistema che spende, spande e detta legge.

DISTORSIONE
La conseguenza è una distorsione della realtà che colpisce chiunque provi a fare affari fuori dai propri confini, e ormai persino al loro interno. È vero che le grandi d’Italia potevano prendere Leoni al posto del Parma a 5-6 milioni dalla serie B ma, in un mondo normale, sarebbero dovute essere il Parma, appunto. O, al massimo, la Fiorentina o il Bologna. Una volta questi talenti dalle referenze brillanti li pagavi il doppio del loro valore al momento, diciamo 10-15 milioni: ora passano direttamente a 25-30 milioni. La carriera-tipo non è più a tappe ma a salti, spesso nel vuoto. Sono spariti i prezzi intermedi perché un qualsiasi club di Premier, o il Psg di turno, paga ben volentieri 30 milioni una scommessa, perché tale è un 18enne: è il modo più efficace di mettere fuori gioco tutte le (ex) concorrenti. I procuratori sguazzano in questo nuovo standard, chiedendo ingaggi che in serie A sono sostenibili solo per un giocatore affermato, non per una scommessa, e ricattando i club al grido di: allora lo porto in Premier.

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Ndoye è uno di tanti esempi. E così, le italiane si trovano strette in una morsa. Da un lato, l’impossibilità di accedere al mercato delle prime scelte. Dall’altro l’obbligo di forzare la mano su qualche seconda scelta, nella speranza si riveli una primizia. Noi, la serie A, e gli altri, siamo diventati il parcheggio dei fallimenti della Premier o di chi dalla Premier viene ignorato. Così Lang, un’ala di 26 anni con una sola stagione di rilievo nel campionato olandese, costa al Napoli 25 milioni.


Così il Milan deve spingersi fino a quasi 40 per un centrocampista del Bruges che miracolo - si è visto meglio in Italia che altrove. Oggi, con queste cifre, si compra la speranza che un De Winter o un Bonny si rivelino azzeccati, mentre City e Liverpool e United trattano con disinvoltura Rodrygo, Akliouche, Guehi e persino Donnarumma last-minute come se stessero facendo la spesa al mercato rionale. Sessioni da 200 milioni senza battere ciglio, che vuoi che siano, e rose da 30 o 40 giocatori, tanto li possono pagare anche per stare in tribuna. L’amara ironia è che questo meccanismo perverso sta entrando anche nei mercati interni. In Italia ci si fa la guerra per due o tre milioni, vedi Atalanta su Lookman, perché si preferisce vendere all’estero. A loro. A quelli che arrivano con le valigette già piene. Una voltalo sconto era riservato al club del proprio campionato nell’idea di alimentare il valore interno. Ora il prezzo della serie A per la serie A è addirittura più alto che verso l’esterno. Si fa lo sconto a chi non ha bisogno dello sconto. Il calciomercato è una dannata giostra senza senso. Anzi, a senso unico.

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