L’Inter gioca bene per 80’ questo derby d’Italia. E alla fine lo perde... perdendone il controllo nei 10’ che più contano. Ora il limbo diventa un purgatorio, una specie di luogo di prigionia delle idee di Chivu che fanno a pugni con il materiale a disposizione. Questo ko è uno strascico al passato che resta e avvelena il presente perché il futuro non arriva e, anzi, sembra allontanarsi. Non è il fantasma di Monaco che aleggia, sono passati quasi quattro mesi e sono accadute mille cose, è che quella squadra si è esaurita e quella nuova ancora non è nata. È un discorso tecnico più che psicologico perché l’Inter in campo c’è, è connessa, vuole vincere e quasi ci riesce in rimonta. Un gruppo morto non recupera un episodio storto, semmai si lascia andare allo sconforto. Sono gli incastri che non funzionano più al meglio perché alcuni principi di gioco sono nuovi e opposti a vecchie abitudini.
È il peggiore inizio di stagione possibile per Chivu perché perdere due partite che sembrava avere in tasca, a un certo punto di ciascuna, azzoppa la stagione. Doveva guadagnare fiducia, così si fa attorno aria bruciata in una tifoseria che non ce l’ha con lui e mai ce l’avrà, ma chiedeva a gran voce un nuovo progetto che non ha le premesse per partire. Perché l’Inter si presenta sempre uguale a sé stessa, perfino la rinascita parziale di Calhanoglu paradossalmente lo conferma. Una grande partita di caos, non di controllo come quelle per cui questa squadra è programmata. È il sintomo più evidente di una transizione complessa, difficilissima, che Chivu sta cercando di frenare perché non ha il materiale per forzare la mano e non è nemmeno il massimo della vita dover spazzare via così tante certezze acquisite negli ultimi quattro lunghi anni.
LA LUCIDITÀ «È mancata la lucidità per capire che negli ultimi dieci minuti bisognava fare qualcosa di diverso», spiega Chivu dopo la gara. Cosa? Non perdere palloni con leggerezza e gestire meglio i momenti cruciali, gli ultimi palloni, «spedire la palla in tribuna» se serve. Sono le cose brutte che questa Inter non vuole fare, ancora inebriata dal suo essere magnifica ma non ancora consapevole di non esserlo più. Chivu sottolinea che «bisogna guardare la prestazione, che è stata ottima» e «continuare a lavorare»: l’analisi del tecnico è lucida come non lo è stata la squadra nel finale di gara. Ma è un’altra frase a rimanere: «Bisogna togliere alcune cose del passato», in riferimento a certi difetti di flessione mentale, di superficialità, e anche di paura di non essere in controllo della situazione. Non paura, ma più un’ansia premonitrice di qualcosa che è già accaduto e che potrebbe riaccadere. Bastoni spiegherà che «dal campo c’era la sensazione di essere superiori», ma poi «siamo mancati negli ultimi dieci minuti». «Quando subisci quattro gol devi capire cosa c’è di sbagliato» e vede il lato positivo: «Meglio prenderle a inizio stagione queste batoste che non alla fine» ma senza il riferimento alla finale di Champions perché «questa è un’altra stagione». A sentir parlare i giocatori, il passato è archiviato e non è un problema, mentre Chivu evidentemente vede riaffiorare qualche effetto collaterale. Forse questa è la contraddizione da risolvere. È come se i calciatori stessero chiedendo al tecnico di iniziare una nuova storia ma questi non si fidi a cominciarla per paura che sia troppo presto. Non lo è. E a dirlo sono queste due sconfitte in tre partite.