Il mezzofondo mondiale è sempre stato il territorio africano, di quegli atleti cresciuti sugli altipiani del Kenya, dell’Etiopia e dell’Uganda. Un dominio che pareva intoccabile, e dove gli europei sembravano solo ospiti di passaggio, buoni per qualche giro prima di lasciare la scena a chi da quelle terre arrivava; con Nadia Battocletti qualcosa è cambiato.
Nadia non si accontenta di fare la comparsa: corre come loro, corre con loro. Solo che la sua altura non è quella della Rift Valley, ma quella del Trentino, la terra che l’ha forgiata e che oggi la riconsegna al mondo come campionessa vera. Dopo l’argento nei 10.000 metri, ieri è arrivato il bronzo nei 5000 ai Mondiali di Tokyo. Un risultato che brilla di luce propria, perché la distanza è una delle più complicate: mette insieme la velocità delle specialiste dei 1500 e la resistenza delle maratonete dei 10mila. Nadia non si è fatta intimorire. Ha corso con personalità, sempre nel gruppo di testa, fino a cedere solo all’oro di Beatrice Chebet (14’54”36) e all’argento di Faith Kipyegon (14’55”07). Lei è arrivata terza in 14’55”42.
STORICA
Con questa medaglia Battocletti diventa la prima azzurra capace di salire due volte sul podio in un solo Mondiale. Prima di lei c’erano riusciti soltanto Pietro Mennea (Helsinki 1983) e Francesco Panetta (Roma 1987). E non basta: il suo bronzo è la settima medaglia italiana a Tokyo, record assoluto per la nostra nazionale. Superato definitivamente il tetto delle sei medaglie di Göteborg 1995. Ed è curioso come la capitale giapponese intrecci con l’atletica azzurra sempre storie di record, primati, gioie assolute. Raggiante al traguardo, Nadia ha raccontato la sua felicità: «Questa medaglia poteva sembrare scontata, ma non è così. Esser qui è un sogno. Ho detto a mio papà: oggi ci provo, non volevo limiti e quando le ho viste muoversi ho voluto stare con loro. Ero stanca, erano stanche, allora ho pensato che era il momento giusto; ci ho provato e sono fiera di me stessa. Neanche nei sogni migliori pensavo di arrivare a tanto. Nel mezzofondo il trono è sempre stato in mano all’Africa, ma io voglio dimostrare che quel trono è del mondo».
Non è stata solo gioia per l’Italia. La staffetta 4x100 uomini ha vissuto una giornata amara, eliminata tra contatti di gara e ricorsi non accolti (secondo gli organizzatori è Jacobs a danneggiare Maswanganyi, motivo per cui è stato incredibilmente deciso di far correre di nuovo solo i sudafricani e non gli azzurri, dando loro la chance di centrare un tempo per entrare in finale), ma il bilancio resta straordinario: oro con Furlani nel lungo, argento con la stessa Battocletti nei 10mila, Palmisano nella marcia 35 km e Dallavalle nel triplo, bronzo con Nadia nei 5000, Aouani nella maratona e Fabbri nel peso. Sette medaglie che raccontano un’Italia competitiva. E allora dove può arrivare l’atletica italiana? Perché se il record di Tokyo emoziona, resta la sensazione che i margini siano ancora ampi.
Battocletti stessa sogna l’oro olimpico, Stano tornerà a marciare, Iapichino cercherà riscatto, i giovani dei salti sono già una certezza. La velocità è la nota stonata, ma non si riparte da zero: è lì che bisognerà ricostruire. Intanto c’è una certezza: con Nadia e con questa generazione l’Italia non è più ospite, ma protagonista. Los Angeles 2028 non è lontana.