L'opera più importante che Gennaro Gattuso sta compiendo sulla panchina dell'Italia non si vede in campo, ma si percepisce nell'aria che si respira a Coverciano e dintorni- ovvero, lungo tutto lo Stivale. È l'”Educazione Gattusiana”, un corso intensivo per insegnare a una nazione intera a pensare per ciò che è oggi: una squadra da playoff. In questi primi mesi di gestione, il Mondiale è sempre stato trattato come un oggetto lontano, da non nominare, e soprattutto da non associare mai più alla retorica dell'Italia che deve andarci per diritto sportivo. In vista degli spareggi, infatti, bisogna avere l'umiltà di capire che il nostro livello è quello di Ucraina, Albania, Romania, Serbia, Austria, Svizzera, Croazia, Polonia, Scozia, Ungheria.
Siamo nel mucchio di chi deve guadagnarsi la qualificazione giocando ogni singola partita come se fosse l'ultima. Magari stavolta, visto che il ct sta facendo notare da tempo che l'obiettivo massimo (ripetiamo: massimo, non minimo) sono i playoff, ci arriveremo con uno spirito diverso. Nel 2017 e nel 2022 peccammo di arroganza, al di là dei limiti tecnici. La prima volta con Ventura, pur avendo chiaramente un girone con la Spagna che ci avrebbe condotto ai playoff, nessuno è stato capace di dire subito che ci saremmo passati, quindi la squadra vi arrivò come se fossero un sacrilegio. Il mantra era: «Andremo ai Mondiali, siamo l'Italia».
PIPPO
Serata agrodolce per l'Italia a Tallinn. I ragazzi di Gattuso prima assistono impotenti alla goleada della Norvegia ...La crisi di panico di fronte alla Svezia, vedendo che non si riusciva a segnare, è stata diretta conseguenza di quel falso mito. Quattro anni dopo, Mancini non fu in grado di cambiare dialettica, continuò a pompare l'ego di campioni d'Europa e finì per non rendersi conto che la Svizzera era alla nostra altezza. Anzi, oltre. Il mantra, stavolta, era: «Andremo ai Mondiali, ne abbiamo già saltato uno e in più siamo campioni d'Europa». Invece è bastata la Macedonia. Ora finalmente iniziano a essere tutti consapevoli - giocatori in primis, ma anche dirigenti federali, media e addetti ai lavori - che le partite vanno giocate perché l'Italia che non è più un top-club nazionale.
È tornato un po' di sano realismo e ce lo sta dando Gattuso, che dopo l'Estonia ha subito detto che la partita contro Israele (domani sera in una Udine blindata, con 5mila persone dentro lo stadio e più del doppio fuori a manifestare) è decisiva «per metterli fuorigioco» e «preparare bene i playoff», quindi per trasformare le ultime due gare in allenamenti competitivi per costruire questa mentalità «dal basso». Il ct ha iniziato subito a nominare i playoff, mai ha detto che si sarebbe guardata la Norvegia nella speranza di agganciarla. Mai. Ha capito che la malattia della Nazionale, a tutti i livelli, era la presunzione. La convinzione che siamo l'Italia, abbiamo quattro stelline sul petto e quindi al Mondiale ci andiamo.
Era dai tempi di Conte che non c'era un ct che evitava frasi fatte o paroloni. Quel biennio lì fu operaio nel profondo, venivamo da un Mondiale fallimentare e da un vuoto di talento. Peccato che fosse il biennio dell'Europeo, con qualificazioni più gestibili. Lo spirito, però, era quello che ci dovrebbe essere ora e che Gattuso sta ricostruendo: pensarsi come una squadra inferiore alle top e recitare la parte dell'underdog. Non è che Gattuso ci sta educando in questo modo perché ha passato “una vita da mediano”: no, lo sta facendo perché è ciò che serve. La lezione è in corso. E la partita di domani (senza Kean, sottoposto a terapie per la distorsione alla caviglia, e con Pio Esposito titolare) sarà l'esame decisivo per guadagnarsi la grazia dei playoff. Proprio così, una grazia da custodire, rispettare e preparare a dovere, non come è stato fatto nelle ultime due occasioni.