«Non ho saputo trasmettere adrenalina». E un attimo dopo: «Non accompagnare un morto». Basterebbero queste due frasi, pronunciate a distanza ravvicinata, per smascherare l'ormai logoro gioco retorico di Antonio Conte, il condottiero che predica unione mentre pensa a sé, che chiede una reazione mentre sonda il terreno per la ritirata. È uno schema che non può più passare in cavalleria perché è già stato usato diverse volte: Juventus, Chelsea, Inter e Tottenham possono confermare. E se Napoli «non deve essere presa in giro», vale per tutti, anche per l'autore di questa massima. Mentre il Napoli frequenta il vertice con Manna e De Laurentiis per fare il punto (più domani che non oggi), l'allenatore è volato a Torino per stare in famiglia. Una pausa che assomiglia sinistramente a una riflessione per preparare l'incontro di cui sopra. Peccato che il presidente sia un passo avanti a Conte. Lo è sempre stato.
Ne è prova quella richiesta pubblica, durante i festeggiamenti scudetto, di «cimentarsi anche in Champions», e lo è pure il tweet di ieri che definisce «una favola» la voce sulle dimissioni dell'allenatore, definito «un uomo vero» che rappresenta «una garanzia» per il club. De Laurentiis non lo esonererà, non solo per via dell'assegno da circa 22 milioni lordi fino al 2027 ma perché sa benissimo che a rimetterci la faccia, la credibilità e il futuro sarebbe molto più Conte che non il Napoli. Un'altra conferma della sua incapacità di essere un allenatore da progetto, di sopportare le difficoltà post-scudetto, lo escluderebbe di fatto dal giro che conta, quello che chiede agli allenatori di massimo livello di costruire, non solo di vincere.
Antonio Conte, la teoria di Di Canio: cosa c'è dietro il crollo del Napoli
Il pesante k.o. del Napoli a Bologna riapre interrogativi sul reale stato di forma della squadra campione d’Italia...La dialettica di Conte, oltre che superata, è pericolosa per un club di calcio di oggi. Perché la continuità e la stabilità al vertice valgono più di un trofeo, e l'allenatore deve esserne il primo garante. Va aggiunto un fatto, evidente a chiunque guardi le partite: il fallimento - parola pesante ma necessaria, viste le aspettative, la rosa e la pessima Champions - al momento è soprattutto tecnico. Ovvero di “campo”, proprio dove Conte garantiva la stabilità di cui sopra. Invece il Napoli è involuto. Peggiorato. È una squadra in cui De Bruyne sembrava creare problemi strutturali e invece era l'esatto contrario, il belga ne risolveva alcuni (il possesso palla nell'ultimo terzo di campo è crollato verticalmente dal 68% al 43% senza di lui). Conte sta cercando di sopperire a questo vuoto tecnico chiedendo grinta, abnegazione, fatica, ovvero tutto ciò che, con il doppio impegno, viene a mancare.
Questo è il cortocircuito. La teoria diffusa in città è che lo sfogo serva a incidere sul mercato di gennaio. Ciò che la rende confutabile è che Conte non si fida dei giocatori arrivati in estate, e comunque il Napoli fornirebbe ulteriori alibi. Perché se «nove acquisti sono troppi», lo sono a maggior ragione dieci, undici o dodici. Non è un caso giochino sempre gli stessi, pur stracotti- Di Lorenzo e Politano, disastrosi a destra, avrebbero bisogno di riposo. È lo strumento che Conte usa per conservare un alibi, ovvero che i nuovi non sono all'altezza.
Ma, vista al contrario, è anche evidente la sua incapacità di inserirli, di aspettarli, di coinvolgerli. Il sospetto è che Conte già in estate volesse replicare l'uscita “alla Inter” del 2021, poi il mercato a tre cifre garantito da De Laurentiis e il riassestamento dell'Inter post-Inzaghi lo hanno spinto a restare, convinto di bissare lo scudetto e aprire un ciclo. Ora, scontrandosi con una realtà diversa da come la immaginava, è entrato in una spirale di panico, e non sembra parlare più secondo strategia ma seguendo l'istinto. E quando Conte ha agito d'istinto in passato non è mai stato per un fine costruttivo.




