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Immigrazione, porti libici: perché è fondamentale riprende il controllo

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Daniele Dell'Orco
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Con la Humanity1 ferma in rada, il braccio di ferro tra le Ong e il governo italiano a colpi di diritto internazionale prosegue. Il comandante si rifiuta di ripartire con 34 richiedenti asilo perché dice di «non capire» come possano essere un problema «per una città come Catania o un Paese come l'Italia». La risposta è presto detta: perché è la stessa obiezione che potrebbe fare ognuno dei comandanti di una qualsiasi delle imbarcazioni che nel solo 2022 hanno fatto sbarcare in Italia 87mila persone (+35%). Il governo Meloni vuole lanciare un segnale chiaro: l'aria è cambiata. Oltre all'intransigenza e al principio, però, il problema deve essere risolto in altro modo, visto che è sistemico e non episodico. Anzi.

L'arma di "migrazione di massa" contro Meloni è stata sganciata in modo piuttosto palese: dal giorno del cambio della guardia sono arrivati oltre 9mila i migranti. Un numero molto più alto dei 1.778 sbarcati negli stessi dieci giorni del 2021. Vuol dire che, specie dalla Libia, è arrivato un segnale "minaccioso". Non più tardi di qualche mese fa la leader di FdI parlava di «una missione europea da concordare con le istituzioni» per «trattare insieme alla Libia la possibilità che si fermino i barconi in partenza con l'apertura di hotspot in Africa». 

Un nuovo piano che vada ad implementare il memorandum Italia-Libia siglato nel 2017 dall'allora presidente del Consiglio Paolo Gentiloni, su spinta del ministro dell'Interno Marco Minniti, e dall'omologo libico Fayez Mustafa Serraj. L'intesa, rinnovata automaticamente una settimana fa fino al 2025, prevede la fornitura alla Libia di supporto finanziario e tecnico dall'Italia per contrastare la migrazione. Ma il punto è: per capirci qualcosa, con chi bisogna parlare?

La Libia è ancora spaccata tra cirenaici di Fathi Bashagha e tripolitini di Abdul Hamid Dbeibah, riconosciuto dall'Onu ma comunque stretto dalle guerre tra bande alimentate dalla presenza di contractor e militari di Russia e Turchia.

Un caos frutto, vale sempre la pena ricordarlo, di una destabilizzazione voluta dall'Occidente e sponsorizzata anche dall'Europa. E, allora, l'Europa deve aiutarci a sbrogliare la matassa. Anche perché il mondo è cambiato. La crisi migratoria al confine tra Polonia e Bielorussia esplosa nel 2021, preludio di un conflitto ben più duro tra Ue e mondo russo, ha costretto Bruxelles ad ascoltare le rimostranze dei Paesi che sorgono sui confini esterni dell'Ue. A Varsavia è stata "accordata" la costruzione di un muro e l'introduzione di misure eccezionali d'emergenza in caso di flussi "controllati" da Paesi ostili (come i "pushback coattivi"). 

All'Italia e all'Europa bisogna affidare allora il compito di capire se dietro i flussi del Mediterraneo centrale non ci siano allo stesso modo movimenti "ostili" (architettati da Turchia, Russia, la stessa Libia o i titolari di Ong). In tal caso, non si capisce perché il principio "terrestre" accordato alla Polonia non debba prevedere anche una sua versione "marittima".

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