Cassazione, il parere sul dl Sicurezza e migranti è copiato dai giuristi rossi

di Fausto Cariotimartedì 1 luglio 2025
Cassazione, il parere sul dl Sicurezza e migranti è copiato dai giuristi rossi
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Il Massimario della Cassazione è un caso di scuola, utile per capire come funziona il rapporto tra le istituzioni della magistratura e la politica, come sono scritte certe analisi e quanto possano essere ritenute credibili. Quello che di fatto è l’ufficio studi della Corte ha il compito di stilare relazioni «su novità legislative, specie se di immediata incidenza sul giudizio di legittimità». Lo fa in nome della «funzione nomofilattica», ossia per garantire l’interpretazione uniforme della legge. Due di queste relazioni, quella sul “decreto Sicurezza” e quella sul “protocollo Albania” e il decreto successivo, approvato a marzo, sono in realtà lunghi elenchi di critiche alle norme scritte del governo, su cui l’ufficio degli ermellini solleva dubbi «di costituzionalità» e «di possibile contrasto con il diritto internazionale e con il diritto dell’Unione». «Non esprimiamo giudizi politici, ma valutazioni tecniche», è la versione di Margherita Cassano, primo presidente della Corte.

Come sono fatte queste relazioni? Raccogliendo e citando pareri della «dottrina». Quale dottrina? Questo è il punto: stavolta è quella che si è mobilitata contro i provvedimenti, lanciando appelli e firmando articoli. I suoi interventi, selezionati e riportati nel Massimario, dettano la linea dei due documenti. Un lavoro fatto senza guardare per il sottile, come dimostra il caso di Articolo 21, associazione che riunisce personaggi dello spettacolo, giornalisti e intellettuali accomunati dall’appartenenza a sinistra e dall’ostilità ai governi di Silvio Berlusconi e ora a quello di Giorgia Meloni. Una parte importante della relazione sul decreto Sicurezza apparsa sul Massimario è copiata infatti dall’appello dei 257 «giuspubblicisti» lanciato a fine aprile da Articolo 21.

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Giuseppe Giulietti, ex parlamentare di Ds e Italia dei valori e fondatore dell’associazione, si appunta la medaglia al petto: «La Corte di Cassazione i punti di quell’appello li ha ritenuti non solo fondati, ma ha riportato nel testo della relazione ampi stralci di quel testo». In effetti, è proprio così. Per dimostrare quanto siano giustificati i propri «dubbi», l’ufficio del Massimario scrive che «l’Appello per una sicurezza democratica redatto il 27 aprile 2025, per iniziativa di Articolo 21, da 257 giuspubblicisti di tutte le Università italiane, ha denunciato “una serie di gravissimi profili di incostituzionalità, il primo dei quali consiste nel vero e proprio vulnus causato alla funzione legislativa delle Camere”, dato che l’iter legislativo del d.d.l. sicurezza, ai sensi dell’art. 72 della Costituzione, “era ormai prossimo alla conclusione, quando è intervenuto il plateale colpo di mano con cui il governo si è appropriato del testo e di un compito che, secondo l’art. 77 della Costituzione, può svolgere solo in casi straordinari di necessità e di urgenza”». Una «violazione», prosegue la Cassazione citando sempre l’appello di Articolo 21, fatta «al solo scopo, sembra, di umiliare il Parlamento e i cittadini da esso rappresentati». Si riportano i pareri di giuristi, alcuni dei quali firmatari dello stesso appello. Come Roberto Zaccaria, ex deputato dell’Ulivo e del Pd, che era stato sentito in audizione in parlamento. Tutti sulla stessa posizione.

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Le tesi dissonanti sono ignorate, anche quando espresse da luminari come Mauro Ronco, professore emerito di Diritto Penale nell’università di Padova. Costui ha scritto un lungo saggio pubblicato sul sito dell’Istituto Livatino, in cui risponde alle critiche mosse dall’Anm e da altri al decreto Sicurezza. «Non condivido l’ispirazione di fondo che sta alla base di tali critiche», spiega. «Essa mi appare scarsamente realistica, ideologicamente orientata, astratta, avulsa dalla previa individuazione dei nodi che, da lungo tempo irrisolti, attentano al funzionamento umanitario, ordinato ed efficace della giurisdizione penale». Segue una difesa ragionata del decreto. Che però l’ufficio della Cassazione nemmeno riporta, limitandosi a citare un altro giurista, Emilio Dolcini, il quale liquida quella di Ronco come «unica voce fuori dal coro». Così l’unanimità degli esperti è assicurata.

Facile per il deputato di Fdi Alessandro Urzì, il primo a denunciare la contiguità tra l’ufficio della Cassazione e l’associazione militante di sinistra, dire che «il Massimario ha operato per “copia e incolla”, attingendo a piene mani dall’appello di Articolo 21». E concludere che «una valutazione sull’indipendenza degli uffici studi e di supporto all’attività dei magistrati di Cassazione probabilmente si renderebbe utile, se non necessaria».

Stessa storia per la relazione degli ermellini sul protocollo Albania. In questo caso non c’entra Articolo 21, ma gli illustri giuristi citati, come Roberto Cherchi, Paolo Bonetti, Francesca Biondi Dal Monte e il solito Zaccaria, appartengono al gruppo di coloro che si sono espressi in più sedi contro l’intesa tra Roma e Tirana. Pure qui, nessun parere di segno diverso.

Tirando le somme, quello che la presidente Cassano chiama «il nostro ufficio studi» dedito ad «analisi di tipo tecnico-scientifico» assomiglia piuttosto al terminale di una filiera politica e culturale, nella quale si selezionano i pareri “amici”, si snobbano quelli che non confermano le proprie tesi e si presenta il risultato finale come la voce imparziale della Suprema Corte

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