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Pd, le regioni rosse rifiutano di accogliere i migranti

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Daniele Dell'Orco
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La delibera dello stato d’emergenza su tutto il territorio nazionale stabilito dal Consiglio dei Ministri a seguito dello straordinario incremento di flussi di migranti verso le coste italiane (dall’inizio del 2023 sono 31.200, +300% rispetto all’anno scorso), ha sortito il secondo effetto pratico. Il primo era stato lo stanziamento immediato di 5 milioni (e 20 in arrivo nei prossimi sei mesi) per la creazione di nuovi posti per l’accoglienza, visto che gli hot spot attuali sono al collasso, e il trasferimento di migranti ai Centri di permanenza per il rimpatrio.

Ora è arrivato anche un atto formale: due provvedimenti emessi dal capo della Protezione Civile, Fabrizio Curcio, circa la nomina di Valerio Valenti come commissario per l’emergenza e l’introduzione dell’ordinanza 984 che impartisce disposizioni urgenti per fronteggiare l’abnorme numero di arrivi. Dove? In tutte le regioni italiane ad eccezione di Campania, Emilia, Toscana, Valle d’Aosta e Puglia. Quelle amministrate dal Pd. Alla sinistra evidentemente le tratte dei disperati piacciono così come sono, e non hanno riconosciuto la valenza dell’intesa che prevede, tra le altre cose, la possibilità di creare nuovi hotspot anche in deroga rispetto «allo schema di capitolato d’appalto approvato con il Decreto del Ministro dell'interno» e con l’individuazione di disponibilità di posti nelle strutture, e l’attività per «l’accoglienza delle persone migranti in strutture provvisorie, nelle quali sono assicurate le prestazioni concernenti il vitto, l’alloggio, il vestiario, l’assistenza sanitaria e la mediazione linguistico-culturale, anche in deroga alle disposizioni contenute nello schema di capitolato di gara» previsto dalle vigenti norme. Il commissario Valenti, 64 anni, originario di Trapani e già prefetto per la provincia di Firenze, Trieste, Brindisi, Brescia, avrà a disposizione un team di 15 collaboratori già in servizio presso il ministero dell’Interno.

 

 

 

SALVINI IN TOSCANA

«Dire no a un Cpr non è dispetto a Salvini ma ai toscani». Da Massa, dov’è in viaggio per sostenere Francesco Persiani sindaco, il Ministro delle Infrastrutture Matteo Salvini ha commentato così la scelta dei governatori dem. I capigruppo del Carroccio di Camera e Senato, Riccardo Molinari e Massimiliano Romeo, in una nota ufficiale li hanno bacchettati: «Dopo i no all’autonomia e allo sviluppo, ora le quattro regioni rosse dicono “no” perfino al controllo dell’immigrazione. Gravissimo che questi governatori si siano rifiutati di siglare l’intesa per migliorare la gestione dei flussi migratori. Fanno ideologia sulla pelle degli immigrati e dei loro stessi cittadini».

 

 

 

Ma sul dossier migrazioni l’opposizione continua ad erigere barricate anche in altro modo. Oggi è la vigilia della mobilitazione nazionale contro il “Decreto Cutro” che approderà domani in Senato e dovrà essere convertito in legge entro il 10 maggio. Diverse formazioni progressiste (da Emergency a Amnesty, al Centro Astalli, dalle Acli alla Cgil) scenderanno in piazza per protestare contro una normativa «peggiorativa». Ieri anche cinque sindaci di città italiane, ovviamente a guida Pd (Roma, Milano, Napoli, Torino, Bologna e Firenze), hanno stilato un documento in cui fanno appello al governo a rivedere le queste misure. Elly Schlein, l’ha definita «un’ottima iniziativa». La verità è che dello status dei migranti non interessa a nessuno. È piuttosto un’occasione ghiotta per fare pressione sull’esecutivo e in primis su Fratelli d’Italia, da giorni costretta a ballare tra gli emendamenti proposti dalla Lega, che puntano a restringere ulteriormente la protezione speciale (oltre al dimezzamento da due a un anno della durata dei permessi di soggiorno per chi ne ha diritto e all’impossibilità di convertire il foglio speciale in permesso di lavoro), e l’approccio molto più soft che si auspica il Quirinale. L’accesa dialettica intergovernativa per la sinistra è un sogno che si avvera: in un colpo solo può far continuare gli sbarchi e mettere zizzania nell’esecutivo. 

 

 

 

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