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Terrorismo, il report degli 007: "Il confine da cui entrano i jihadisti"

Elisa Calessi
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La rotta balcanica è, in queste ore, la principale preoccupazione dei nostri Servizi di intelligence. Non solo perché da qui arrivano flussi di immigrati irregolari. Ma perché, da un po’ di tempo, si è intensificato su queste direttrici il rientro di foreign fighters. Ossia quei musulmani di seconda o terza generazione, nati in Europa, che sono andati a combattere il Jihad in Medio Oriente e che, ora, hanno deciso di tornare nei loro Paesi di nascita.

Un fenomeno segnalato nei report riservati che arrivano, ogni giorno, sul tavolo del presidente del Consiglio e dell'Autorità delegata. E citato anche dell'audizione tenuta, ieri, da Giovanni Caravelli, direttore dell'Aise, davanti al Copasir. Riunione secretata, come giusto che sia, in cui si è parlato anche della telefonata dei presunti comici russi al premier Giorgia Meloni.

 

Ad accennarne in chiaro, però, è stato, ieri, il ministro dell'Interno, Matteo Piantedosi. Lo ha fatto in una sede istituzionale: il Comitato parlamentare di controllo sull'attuazione dell'accordo di Schengen. Piantedosi ha confermato che sta aumentando il numero di “combattenti” della Jihad di ritorno dai teatri di guerra del Medio Oriente. Persone che hanno combattuto in questi anni e che ora, eccitati dall'escalation rappresentata dall'esplosione della guerra tra Israele e Palestina, hanno deciso di fare rotta verso l'Europa. Verso quei Paesi da cui sono partiti e che, in questi giorni, si sono schierati con Israele. Si tratta di soggetti che, ha ammesso Piantedosi, «costituiscono una minaccia per la sicurezza nazionale».

 

Il ministro dell'Interno ha ricordato che «il conflitto siriano aveva evidenziato e confermato un elevato livello del rischio, con la partenza per i territori bellici di numerosi foreign fighters, soprattutto da Kosovo, Bosnia Erzegovina, Macedonia del Nord e, in misura minore, Albania». Da alcuni anni questi soldati, insieme ai loro familiari, sono rientrati nei Paesi di provenienza. Si parla di circa 1.000 combattenti, «di origine o provenienza balcanica, a suo tempo partiti per i teatri siriano e iracheno» e di circa 400 «già rientrati nei territori dei Balcani». Persone che «rappresentano evidenti vettori di rischio per la sicurezza europea e nazionale». Inutile dire che la guerra a Gaza ha moltiplicato i rischi, avendo ricompattato il mondo islamico contro il nemico occidentale. «Le informazioni disponibili», ha detto Piantedosi, «evidenziano che la quasi totalità dei migranti che attraversano il confine italo-sloveno ha precedentemente fatto ingresso in Croazia via terra».

Gli arrivi dal fronte terrestre balcanico sono aumentati di oltre il 25 %. E la maggior parte punta all'Italia. Non solo. Secondo informazioni della nostra intelligence in Serbia e in tutta la rotta balcanica ci sono diversi campi di sosta gestiti da organizzazioni criminali. Per questo a partire dal 21 ottobre il governo ha ripristinato i controlli alla frontiera prorogandoli fino al 19 novembre. Solo in Italia sono oltre 28.000 gli obiettivi sensibili, 205 dei quali ebraici. Su questo è concentrato il lavoro del Comitato di analisi strategica antiterrorismo.

Nella riunione del 26 ottobre, ha riferito Piantedosi, si è confermato la necessità di «mantenere il rafforzamento delle misure di prevenzione e controllo» e si è valutato che resta «elevato il rischio di infiltrazione terroristica dei flussi migratori illegali specialmente attraverso la frontiera con la Slovenia». Come anticipato da Libero, domani alle 11 il Copasir svolgerà l'audizione dell'Autorità delegata per la sicurezza della Repubblica, Alfredo Mantovano.

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