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Immigrazione, stop alla rotta balcanica: ecco il piano di Giorgia Meloni

 Giorgia Meloni

Fausto Carioti
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Il protocollo siglato da Giorgia Meloni con il premier albanese Edi Rama attira nuovi oppositori. Il consiglio d’Europa (organizzazione internazionale che niente ha a che vedere con le istituzioni Ue), per bocca del suo commissario Dunja Mijatovic, ha avvertito l’Italia che il piano per spostare in Albania la gestione di 39mila migranti l’anno «solleva diverse preoccupazioni in materia di diritti umani». È la stessa posizione della sinistra italiana, e va da sé che non sposta la linea del governo: il ministro degli Esteri, Antonio Tajani, illustrerà l’accordo alla Camera martedì prossimo, e al termine si voteranno le risoluzioni dei diversi schieramenti, inclusa quella della maggioranza che darà il via libera all’applicazione del protocollo. Non è la ratifica parlamentare del testo che pretendeva l’opposizione (e che secondo l’esecutivo non è necessaria), ma un voto dell’aula comunque ci sarà.

Dovrebbe essere solo l’inizio. Nello schema di Meloni, quella italo-albanese è la prima tessera di un mosaico complesso che inizia a formarsi. Una strategia dei Balcani occidentali che passa anche per accordi con Slovenia e Croazia, e ha come obiettivo principale la chiusura della rotta balcanica, che in Europa è la più “trafficata” dai migranti irregolari dopo quella del Mediterraneo centrale. Attraverso quel percorso, che attraversa Serbia, Croazia e Slovenia, entrano illegalmente nella Ue soprattutto siriani, afghani e turchi.

 

 

L’ALLERTA DI PIANTEDOSI - La premier ne parlerà già stamattina a palazzo Chigi col primo ministro sloveno Robert Golob, in visita a Roma. Sino a non molti anni fa i rapporti tra i due Paesi erano tutt’altro che amichevoli, e un contributo importante a migliorarli l’ha dato Sergio Mattarella, facendo numerose iniziative comuni con Borut Pahor, presidente della repubblica slovena sino allo scorso dicembre. Adesso le relazioni sono buone e ieri a palazzo Chigi sottolineavano con soddisfazione il fatto che non ci siano più problemi o contenziosi da risolvere. Questo, infatti, consentirà ai due leader di concentrarsi sul tema dell’immigrazione e della sorveglianza dei 232 chilometri di confine tra i due Stati, dopo che il trattato di Schengen, che garantisce la libera circolazione delle persone, è stato sospeso il 21 ottobre dal governo di Roma, in modo da ripristinare i controlli alle frontiere.

Le ragioni le ha spiegate una settimana fa il ministro dell’Interno, Matteo Piantedosi, davanti al Comitato parlamentare di controllo sull’attuazione dell’accordo di Schengen: «Le analisi hanno chiarito che resta elevato il rischio di infiltrazione terroristica dei flussi migratori illegali via mare e via terra, specialmente attraverso la frontiera con la Slovenia, rotta lungo la quale transita la maggior parte dei migranti provenienti dalla rotta balcanica». I numeri del Viminale dicono che, da quando sono stati riattivati i controlli, sono stati scoperti 623 stranieri che tentavano l’ingresso irregolare nel nostro Paese e sono state arrestate 25 persone, 19 delle quali per favoreggiamento dell’immigrazione clandestina.

 

 

UN BUCO DI VENT’ANNI - L’altra nuova tessera del mosaico diplomatico di Meloni è la Croazia. Anch’essa, come la Slovenia, nel 2021 è entrata, grazie pure all’Italia, nell’EuroMed, il gruppo informale di Paesi europei e mediterranei nel quale ci sono Francia, Spagna ed altri Stati. Eppure sono vent’anni che un presidente del consiglio italiano non va a Zagabria per un colloquio bilaterale, l’ultimo era stato Silvio Berlusconi. Un “buco” che Meloni ha deciso di coprire: giovedì sarà nella capitale croata per una cena di lavoro assieme ad altri leader europei, e il giorno dopo avrà un faccia a faccia col premier Andrej Plenkovi.

Anche in questo caso, per capire appieno le ragioni dell’incontro occorre ricordare ciò che ha detto Piantedosi al comitato Schengen: «La quasi totalità dei migranti che attraversano il confine italo-sloveno ha precedentemente fatto ingresso in Croazia via terra». E questo perché «dal primo gennaio 2023 la Croazia è entrata in area Schengen, il che ha comportato (...) lo spostamento dei controlli di frontiera dal confine sloveno-croato a quello croato-bosniaco. Tale spostamento ha, a sua volta, determinato l’affievolimento dell’attività di vigilanza e controllo al confine sloveno-croato da parte delle autorità di Lubiana, con evidenti ripercussioni negative sul flusso migratorio che interessa la Slovenia e, di conseguenza, l’Italia».
Quello che accade alla frontiera italo-slovena, insomma, nasce al confine tra Croazia e Bosnia. Sarà argomento di discussione tra Meloni e Plenkovi, fanno sapere a palazzo Chigi, e non sarà l’unico: dopo vent’anni, i fili della cooperazione politica, economica e culturale da riallacciare sono molti. 

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