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Immigrazione, l'onda lunga della passata politica delle porte aperte

Pietro Senaldi
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Non ci manca nulla. Il guinzaglio disumano apposto dalla giustizia ungherese a Ilaria Salis ci ha fatto scoprire che, se saranno confermate le accuse alla donna, esportiamo manovalanza squadrista di estrema sinistra che gira l’Europa per picchiare chi la pensa all’opposto. Lo stupro a Catania di una tredicenne, abusata da sette giovanissimi extracomunitari sbarcati clandestinamente e ospitati in un centro d’accoglienza, sono la riprova che, dai barconi degli scafisti e dalle navi delle ong, importiamo anche criminali. Le due molotov lanciate contro il consolato statunitense a Firenze da un italiano immigrato di seconda generazione ci dicono che cresciamo amorosamente a nostre spese chi un giorno ci ammazzerà.

Non si tratta di essere contro l’immigrazione, tantomeno sono ragionamenti razzisti. Si tratta di essere contro l’ingresso illegale nel nostro Paese e di analizzare la realtà per quel che è, senza truccarla con parole ingannevoli come “risorse”. Che risorsa può essere una persona senza un soldo né istruzione che arriva qui senza saper fare nulla? Il crimine di Catania non è un fallimento di questo governo, che dopo l’Apocalisse che sta sconvolgendo il mondo ha visto aumentare gli sbarchi in modo considerevole lo scorso anno, con un significativo calo negli ultimi mesi. Questo stupro è l’eredità di un decennio di porte aperte e inviti a venire qui lanciati da una sinistra che, non sapendo governare il fenomeno dell’immigrazione, ha alzato le mani prima di provarci e ha provato a travestire l’emergenza in opportunità. I famigliari del disonorevole Soumahoro, l’assassino Buzzi e tanti altri ci hanno dimostrato negli anni che l’opportunità più ghiotta è per chi sa fare dell’accoglienza un affare.

 

 

 

Dei sette stupratori, quattro sono maggiorenni, giunti in Italia quando ancora non lo erano. La legge impedisce, giustamente, di espellere i bambini, ma la realtà ci dice che chi arriva con il barcone resta bambino e gode del relativo trattamento fino alla soglia dei trent’anni. Naturalmente cambiare questa legge aprirebbe una campagna d’odio da parte delle opposizioni contro il governo, che sarebbe accusato di essere peggio di Orbàn, Erode e Nerone. Quando dieci anni fa dei giovani immigrati di seconda generazione stuprarono sulla spiaggia di Rimini una turista polacca, finimmo processati noi di Libero, colpevoli di aver pubblicato l’ordinanza d’arresto degli stupratori fatta dai carabinieri, giudicata troppo cruda. Tanto per capire a chi e cosa guardano i progressisti quando succedono certe cose. Non ci resta che attendere i primi frutti del Piano Mattei, ideato dal governo italiano e condiviso dall’Europa, nella speranza che creare sviluppo in Africa ci consenta anche di formare e scegliere la forza lavoro che ci serve.

Non è poi impossibile creare in loco delle agenzie che selezionino personale per l’Italia e l’Europa, di modo che non si debba rischiare la vita per arrivare qui e, una volta giunti, non si resti abbandonati come cani allo sbando, che inevitabilmente mordono chiunque incontrano. Due parole anche sul fatto di Firenze. L’11 settembre 2001, quando le guerre in Afghanistan e Iraq spaccarono il mondo e infuriò lo scontro di civiltà violento, facendosi sentire anche in Europa, le nazioni con il più alto tasso di immigrati islamici, dalla Gran Bretagna alla Francia al Belgio, furono teatro di sanguinosi attentati. L’Italia ne rimase indenne grazie all’eccellenza dei nostri servizi segreti, all’abilità diplomatica dell’allora premier Silvio Berlusconi e al dato oggettivo che, avendo meno immigrati islamici, avevamo meno tensione etnica e meno soldati di Allah pronti a entrare in azione. Il guaio è che oggi non è più così.

 

 

 

La netta posizione atlantista, che questo governo tiene senza margini di ambiguità, è doverosa ma ci pone in prima linea. Alcuni quartieri delle nostre città sono alla mercé di baby gang composte da figli di extracomunitari con il passaporto italiano che terrorizzano e rapinano i residenti. Al momento questi giovani non hanno ancora canalizzato nell’ideologia la loro rabbia, ma nessuno si stupirebbe se questo accadesse, come nessuno può dirsi sorpreso delle bombe di Firenze.
Ci candidiamo a trasmettere il medesimo film che da trent’anni va in onda nelle banlieu parigine, con il primo tempo sulla delinquenza e il secondo sull’eversione. Forse certi fenomeni sono inevitabili, ma a maggior ragione è criminale creare le condizioni ideali e le giustificazioni morali perché si verifichino, dacché più li incoraggi e più sminuisci il problema, più ce ne saranno. Che alcuni gesti siano figli della follia individuale odi un’ideologia di massa importa relativamente: in entrambi i casi l’origine sta sempre nella realtà e nella descrizione che la società ne fa.

Le bombette di Firenze dovrebbero far riflettere la sinistra sull’atteggiamento indifferente, quando non connivente, con il terrorismo palestinese, cosa diversa dalla solidarietà con quel popolo. Non biasimare chi sfila contro Israele nel giorno in cui si ricorda il dramma della Shoah è un gesto più pericoloso e violento delle molotov di ieri. La condanna di Israele e la mano tesa ad Hamas sono incentivi al terrorismo. Se i macellai del 7 ottobre non stanno reclutando foreign fighters, si chiamavano così gli occidentali che combattevano per l’Isis, è perché l’esercito di Gerusalemme li sta tenendo impegnati e decimando. Ma attenzione. Se l’Occidente continuerà a seminare odio nei propri confronti, non potrà che raccogliere frutti avvelenati. Non si tratta di battersi il petto per gli errori dei nostri trisavoli, ma di aprire gli occhi per non finire al camposanto. Come civiltà e come individui. 

 

 

 

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