È il primo, è l’apripista, è un “precedente”. E d’accordo che quello italiano non è un sistema di common law, per cui da noi non fanno diritto le sentenze di un tribunale, men che meno i provvedimenti degli enti locali, però che il “caso Monfalcone” possa aprire una nuova strada di legalità e sicurezza, ecco, questo sì. Senza dubbio. L’ufficio Tavolare della regione Friuli Venezia Giulia ha provveduto, di recente, per conto del Comune di Monfalcone, ad acquisire i locali del centro culturale islamico Darus Salaam. Dopo le polemiche, dopo le minacce, dopo un tiremmolla giuridico-amministrativo che si è concluso, nell’aprile scorso, con un pronunciamento del Consiglio di Stato il quale, di fatto, ha ricordato che i luoghi di culto non si improvvisano e che le moschee abusive sono prima di tutto questo, cioè abusive, a Monfalcone si muove qualcosa.
Breve riassunto delle puntate precedenti: è il novembre del 2023, l’attuale eurodeputata della Lega Anna Maria Cisint è ancora sindaco della cittadina nel decentramento di Gorizia e alcuni sopralluoghi della sua polizia locale scoprono che il centro Darus Salaam viene utilizzato a mo’di moschea.
Non è possibile, non tecnicamente, perché gli spazi che occupa all’interno di un immobile in via Duca d’Aosta sono accatastati con una destinazione d’uso differente.
La legge parla chiaro e non è solamente una questione di cavilli burocratici: è, soprattutto, un’esigenza di sicurezza. Il Comune, allora, emana un’ordinanza col divieto di utilizzare quello stabile come luogo di culto.
S’innesca una discussione infinita. Si alzano accuse su più piani. Chi taccia l’amministrazione Cisint di razzismo, chi la butta in politica, chi organizza una maxi marcia di contestazione e chi ricorre al tar per vedersi dar ragione: nessuno mette in dubbio le violazioni della normativa (che ci sono, eccome) ma nella partita entra l’articolo 19 della Costituzione e tutto si ferma davanti al principio della difesa delle libertà di culto. Fino a tre mesi fa, quando il Consiglio di Stato ribalta quella decisione.
«La stabile destinazione di un edificio a luogo di culto presenta un impatto sull’ordinato sviluppo dell’abitato e deve avvenire nel rispetto della disciplina urbanistica ed edilizia». Vuol dire che sì, certo, i diritti costituzionali sono sacrosanti, ma ci sono luoghi e modi per esigerli e ciò non avviene in spregio a tutte le altre norme di garanzia del sistema. È la conferma che Cisint, due anni fa, aveva ragione da vendere: ma è anche un termine senza proroga per il centro Darus Salaam. Da adesso in poi, nelle sue stanze, i musulmani originari del Bangladesh non possono riunirsi per pregare.
Passano le settimane e, però, non succede niente. Nel senso che ci sono inchieste televisive, racconti dei vicini, accertamenti sul posto: lì, in quella palazzina color ocra con le inferriate nere, le attività continuano indisturbate. È per questo che le autorità tornano a far prevalere non la forza ma la legge: in particolare i commi 3 e 4 dell’articolo 45 della legge regionale numero 19 del 2009.
In Friuli Venezia Giulia si chiama “intavolazione”, in pratica è un atto di acquisizione di un bene e in realtà quasi tutte le regioni (poiché la materia è di loro competenza) hanno disposizioni simili.
La sede del centro Darus Salaam, da oggi, torna nella disponibilità del Comune di Monfalcone che lo metterà, almeno questa pare sia l’intenzione, nella disponibilità della cittadinanza. Non sarà così immediato: sicuramente gli islamici faranno ricorso, sicuramente ci saranno altri passaggi, ma per il momento la pratica è definita.
«Monfalcone è un modello vincente perla difesa dell’Italia e perla lotta all’islam radicale che non rispetta le regole», commenta Cisint, «qui le leggi si fanno rispettare.
Vale anche per chi pensa di potersi porre al di sopra in nome di una mal interpretata libertà di culto. Abbiamo un messaggio forte, rivolto anche a quei sindaci di sinistra che, altrove, preferiscono voltarsi dall’altra parte».
Non è un riferimento buttato là: situazioni analoghe, con “moschee” nascoste in scantinati o sottoscala adibiti (sulla carta) a magazzini, ne è pieno il Paese al punto che farne una mappatura è praticamente impossibile e chi ci ha provato spergiura siamo già sopra le mille unità. Tuttavia gli strumenti per porre un argine ci sono: tra l’altro, semplificando grossolanamente, l’istituto dell’intavolazione altro non è che l’acquisizione gratuita al patrimonio comunale che si ha negli abusi edilizi quando un ordine di demolizione viene ignorato (in Friuli Venezia Giulia non si sono inventati niente, hanno solo trovato una soluzione giuridica a un problema che, da anni, non è diffuso solo a Monfalcone).