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Bechis smaschera papà Boschi: "Cosa ha fatto prima del crac Etruria"

Giovanni Ruggiero
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Le cifre le ha fornite a memoria, senza nemmeno leggere gli appunti che si era preparata la notte prima, la stessa Maria Elena Boschi il giorno in cui si è difesa alla Camera dalla mozione di sfiducia presentata su Bancopoli dal Movimento 5 stelle. «Come è noto», ha spiegato il ministro dei Rapporti con il Parlamento, «io posseggo, o sarebbe meglio dire possedevo, 1.557 azioni di Banca Etruria che ho acquistato a un valore di poco inferiore a un euro ciascuna, quindi avevano un valore iniziale di circa 1.500 euro. Anche i membri della mia famiglia hanno dei piccoli pacchetti azionari in Banca Etruria. Come consente la legge non hanno fornito informazioni sui loro titoli, ma sicuramente non si offenderanno se lo farò io oggi in questa aula. Mio padre possiede, o meglio possedeva, 7.550 azioni di Banca Etruria, mia madre 2.013, mio fratello Emanuele 1.847 e mio fratello Pierfrancesco 347». In quel discorso c' era di sicuro un passaggio non corrispondente alla verità: la legge non consentiva a nessun membro della famiglia Boschi di nascondere le informazioni su quelle azioni. Non perché familiari di un membro del governo (lì possono invocare la legge sulla privacy), ma perché componenti il nucleo familiare di un «soggetto che svolge funzioni di amministrazione, di controllo o di direzione in un emittente quotato». Quindi quelle azioni non avrebbe dovuto rivelarle la Boschi in aula solo una volta messa spalle al muro sullo scandalo. Ma era obbligatorio rendere pubblico ogni acquisto e ogni vendita compiuto fra il 2011 quando papà Boschi è entrato nel consiglio di amministrazione della Banca popolare dell' Etruria, diventandone poi membro attivo del comitato esecutivo e vicepresidente nella primavera 2014, fino alla fine di gennaio 2015 quando è decaduto per il commissariamento deciso da Banca di Italia (e solo obbligatoriamente controfirmato dal ministero dell' Economia). Bene, nella sezione internal dealing di Banca Etruria dove quegli acquisti/vendite di azioni dovevano essere registrati e resi pubblici, i conti non tornano. Nessuno dei pacchetti dei tre figli è stato registrato e reso pubblico, quindi c' è da supporre che gli acquisti siano avvenuti prima del 2011. Mancano nelle dichiarazioni della figlia altri acquisti e sottoscrizioni da parte dei genitori comunicate invece al mercato, e c' è una grande differenza fra il possesso azionario di papà Boschi comunicato nelle varie relazioni sulla remunerazione degli amministratori fino a metà 2014 e quel dato finale fornito dalla figlia. Al mercato risultavano in possesso di papà Boschi, fra acquisti regolarmente comunicati, operazioni di raggruppamento di azioni intervenute e assegnazione gratuita di azioni in seguito ad aumenti di capitale, circa 20,5 mila azioni di Banca Etruria. Alla fine la figlia dice che ne deteneva 7.550. Quindi devono essere state vendute sul mercato fra il mese di maggio 2014 e quello di febbraio 2015 le 13mila azioni che mancano. Dopo non sarebbe stato più possibile, perché insieme al commissariamento il titolo è stato sospeso dalle contrattazioni di Borsa e mai più trattato. Il momento della vendita di quelle azioni non è indifferente, al di là del fatto che nessuno può essere diventato ricco con quello. Ma in quel periodo ci sono stati due rialzi extra dei titoli. Il primo in seguito alla presentazione di un' offerta pubblica di acquisto dell' Etruria ufficializzato dalla Banca popolare di Vicenza a un euro per azione. Fu proprio il cda di cui Boschi era vicepresidente a respingere quella proposta senza mai motivarne le ragioni, e senza convocare una assemblea degli azionisti per fare approvare la decisione. Il titolo crollò. Si è poi ripreso solo nella seconda metà di gennaio 2015 proprio grazie alle prime voci sul decreto Renzi che trasformava in società per azioni le banche popolari. In 15 giorni il titolo dell' Etruria mise a segno un rialzo record del 68%, doppio a quello registrato dalla migliore delle altre banche popolari coinvolte. Se papà Boschi avesse venduto la maggioranza del suo pacchetto in uno di quei due periodi avrebbe realizzato il meglio possibile di questi anni. Quel che è certo è che nei bilanci di Banca Etruria sono segnalati i suoi acquisti di azioni: al momento della sua prima nomina ne possedeva appena 1.200. Nel 2012 ne ha acquistate sul mercato altre 9.460, senza vendere nulla. Nel 2013 altro acquisto di 8mila azioni, poi la comunicazione che 3.732 azioni erano state oggetto di operazione di «raggruppamento» e infine la comunicazione dell' arrivo di nuove 5.831 azioni provenienti da un aumento di capitale gratuito. Fra quegli acquisti e il risultato finale comunicato dalla figlia c' è appunto una differenza di 13mila azioni. I conti per altro divergono anche per mamma Boschi, Stefania Agresti, che risulta in Consob avere comunicato il 21 giugno 2013 l' acquisto di 8mila azioni Etruria ciascuna al prezzo di 0,5935. Non risultano vendite fino a maggio 2014. Da lì in poi il buio, perché la documentazione non è aggiornata. Ma se alla fine la figlia Maria Elena dice che mamma ha solo 2.013 azioni, insieme alle 13mila di papà debbono essere state vendute in quei 6-7 mesi a cavallo fra 2014 e 2015 anche 5.987 intestate alla signora Agresti in Boschi. Terzo tema, anche qui non proprio indifferente rispetto all' andamento della vicenda. Sia papà che mamma Boschi risultano avere comunicato alla Consob la sottoscrizione di obbligazioni senior convertibili nel 2011. Titoli con il tasso fisso del 7%, assai superiore a quello delle famigerate obbligazioni subordinate. Non grandi importi (fra 5 e 6mila euro), però con un rendimento interessante, e una caratteristica che oggi le differenzia da tutte le altre: la solvibilità. Perchè questi titoli, a differenza delle subordinate, non sono stati azzerati dal decreto del governo Renzi. Franco Bechis @FrancoBechis

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