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Gay per forzaCosì Andreaè morto 2 volte

Il conformismo dei media ha trasformato il ragazzino in un martire dell'omofobia

Matteo Legnani
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di Maria Giovanna Maglie Così è morto due volte. Prima un suicidio tristissimo frutto dell'instabilità che ogni adolescenza si porta dietro e che poteva e doveva essere evitato, un suicidio maturato nell'inconsapevolezza, nell'incomprensione di famiglia e insegnanti, e se la prima è la responsabile numero uno, gli insegnanti a indifferenza non scherzano; poi l'ammazzamento mediatico partorito e conclamato nella costruzione dell'icona gay, del simbolo dell'omofobia, del pupazzo da fiaccolata, nella consacrazione del nuovo Cristo in croce.  Così ad Andrea, ragazzino stravagante e tormentato, la ragazza che gli piaceva e forse non se lo filava, la madre che se n'era andata in Calabria dopo la separazione dal padre, ragazzino esibizionista come a quindici anni spesso si è, gli è toccato morire due volte inascoltato; ad Andrea, i pantaloni rosa di un bucato finito male e lo smalto colorato invece che trasparente per non mangiarsi le unghie, la fotografia con la parrucca e il rossetto messa su Facebook perché era il travestimento di Carnevale, insomma tutto normale, per usare un termine banale, anche il bullismo che la stravaganza o il difetto fisico sempre attirano nei giovanissimi, gli è toccato non solo morire a quindici anni, ma anche morire  del nuovo conformismo, morire per forza frocio. Uso il termine scorretto e proibito perché proprio da quel termine è partito il grande equivoco, la volgare bagarre di giornali e movimenti gay, con tanto di pensoso telegramma sul clima avvelenato dall'omofobia del presidente Giorgio Napolitano.  Un suo compagno di scuola,  appena ha saputo che Andrea si era impiccato in casa usando una sciarpa, preso dai rimorsi ha chiamato il numero del Telefono Azzurro e ha detto: «Ieri l'abbiamo chiamato frocio». L'operatore allora lo avrebbe dirottato a una help line dedicata agli omosessuali, e qui è scoppiato il caso. Qui è cominciata la costruzione dell'evento mostruoso, e poco importa che balle di questo genere alla fine siano un colpo ai diritti degli omosessuali. L'ha capito una donna intelligente come Anna Paola Concia, parlamentare omosessuale e attivista, che, dopo due chiacchiere oneste con gli studenti e i professori del liceo Cavour, aveva detto di non aver trovato né un clima ostile nella scuola né la prova che Andrea fosse gay ma piuttosto che avesse problemi in famiglia. Di solito quel che la Concia dice sull'argomento trova udienza mediatica, stavolta tutti zitti, sotto con le fiaccolate e le dichiarazioni sdegnate sul clima omofobo nel Paese. Al lupo al lupo! Poi è toccata ai professori del Cavour, i quali in una lettera hanno spiegato alla stampa che la loro tanto non è una scuola omofoba che gli organizzatori dei corsi per la sensibilizzazione all'omofobia tenuti dall'Arcigay e dal Circolo Mario Mieli quest'anno hanno scelto altri istituti. Anche qui il paradosso conformista è schiacciante: non dell'indifferenza al malessere di un ragazzo che incontrano ogni giorno, non della possibile violenza e prepotenza dei rapporti tra i ragazzi  gli insegnanti di una scuola sono chiamati, si sentono chiamati, a rispondere, ma di sensibilità settoriale. Se sei gay forse due soldi di attenzione ti spettano per quota politically correct, se sei solo un ragazzino disperato per carenza d'affetto e turbe di maturazione, veditela da solo.  Andrea viveva  a Roma con il papà e il fratellino di sette anni, sentiva probabilmente la mancanza della madre. I suoi amici insistono nel dire che non era affatto attratto dai ragazzi, dunque negano quella ragione del bullismo. Il nonno racconta che il nipote gli avrebbe confidato la cotta per una ragazza, la conseguente delusione d'amore. Quella pagina Facebook che ora è bloccata dall'amministrazione del social network e che la magistratura ha chiesto di poter vedere, non sarebbe dunque stata creata  da bulli che lo avevano preso di mira perché si metteva i pantaloni rosa e lo smalto, ma dallo stesso Andrea e dai suoi amici, per giocare, per ridere, e quella foto del profilo dove appare in parrucca e rossetto è stata scattata a scuola l'ultimo giorno di Carnevale, quando tutti i maschi della classe avevano deciso di vestirsi da donna. Infine, la madre conferma tutto ciò in una intervista dolente di ieri a La Repubblica, nella quale, come è comprensibile, un po' se la prende con la scuola un po' con sé stessa, e che  come è incomprensibile, Repubblica titola senza il minimo riferimento alla smentita sull'omosessualità di Andrea.  Ma lei si dice sicura: «Era estroso, era un ragazzo più avanti, più grande. L'abbiamo cresciuto libero e nei principi della tolleranza. Non ho dubbi sulla sua identità sessuale, se fosse stato gay me l'avrebbe detto, parlavamo molto. Aveva un astuccio e una maglietta rosa, e allora? Era pieno di fantasia e cultura. A nove anni si era iscritto alla biblioteca comunale e da allora si era divorato mille libri».  Frocio per forza. I familiari di Andrea non hanno voluto le associazioni di militanti e attivisti gay ai funerali.

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