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Vulcani, ridefinita la "zona rossa" dei Campi Flegrei

Matteo Legnani
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Martedì 21 ottobre a Napoli, presso la sede della Regione Campania, si è tenuta una riunione volta a discutere una ridefinizione della "Zona Rossa" e delle attività future riferite alla pianificazione di emergenza per il rischio vulcanico nell'area dei Campi Flegrei. In sala c'erano il Capo del Dipartimento della Protezione Civile, Franco Gabrielli, l'assessore alla protezione civile della regione Campania, Edoardo Cosenza, il direttore dell'Osservatorio Vesuviano dell'Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia, Giuseppe De Natale, e molti tra sindaci e amministratori dei Comuni flegrei. L'idea è quella di creare una nuova "zona rossa" dei Campi Flegrei che comprenda i comuni di Pozzuoli, Bacoli, Monte di Procida, Quarto, parte di Marano e una piccola zona di Giugliano; ancora alcune zone di Napoli, fino al centro della città. "E' stato un ulteriore importante passaggio del percorso volto all'aggiornamento del piano di emergenza ai Campi Flegrei, come fatto anche per il Vesuvio" ha detto il Prefetto Franco Gabrielli. Continua però ad essere assente una politica di informazione e il piano di emergenza, non contiene ancora alcuna disposizione operativa di dettaglio diretta ai singoli cittadini, con la conseguenza che gli abitanti delle "zone rosse", non saprebbero come comportarsi in caso di emergenza. Proprio per questo il 4 giugno del 2013, assistiti dall'avvocato Nicolò Paoletti e su iniziativa di Marco Pannella, i cittadini della "zona rossa" del Vesuvio, hanno presentato un ricorso alla CEDU, denunciando alla Corte di Strasburgo che "pur non essendosi ancora verificato un pregiudizio per la loro vita, la Convenzione risulta violata per il solo fatto che le Autorità abbiano omesso e omettano di adottare, nei confronti dei ricorrenti medesimi, le misure, legislative e provvedimentali, adeguate a fronteggiare un evento dannoso che non è incerto se si verificherà ma solo quando si verificherà". Principio di precauzione dunque, ben noto alla Stanza della Corte. Il Vesuvio -come i Campi Flegrei- è quiescente da anni ma sia le autorità che la comunità scientifica danno per certa la ripresa della sua attività e ciò avverrà all'improvviso, cogliendo impreparata la popolazione. Sul sito internet della Protezione Civile si legge: "Alla luce della storia eruttiva del Vesuvio si prevede che, qualora l'attività dovesse riprendere entro qualche decennio, la prossima eruzione sarebbe esplosiva di tipo sub-pliniano. Lo scenario che gli studiosi considerano possibile è quello della formazione iniziale di una colonna eruttiva alta diversi chilometri (da 15 a 20), con caduta di bombe vulcaniche e blocchi nell'immediato intorno del cratere, nonché di particelle di dimensioni minori (ceneri e lapilli) fino a decine di chilometri di distanza, nella direzione del vento dominante; successivamente dal collasso della colonna si formano colate piroclastiche che scorrono lungo le pendici del vulcano per alcuni chilometri, fino a raggiungere il mare in pochi minuti. Altro fenomeno pericoloso prevedibile in questo scenario è il generarsi di colate di fango (lahar) per mobilizzazione da pioggia delle ceneri incoerenti depositatesi sui pendii più ripidi delle zone sottovento rispetto al vulcano". Ma Giuseppe Mastrolorenzo, ricercatore dell'Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (INGV), ha osservato: "E' fallito il piano di emergenza Vesuvio perché abbiamo riscontrato che non c'era alcuna base scientifica per scegliere uno scenario intermedio, subpliniano: si è scelto uno scenario analogo al 1631 mentre lo scenario massimo è quello del 79 dopo Cristo o di quattromila anni fa. Ancora "Nella delimitazione della zona rossa si sono seguiti i limiti comunali. Ma il vulcano non conosce i limiti. E poi, noi abbiamo considerato che dovrebbero essere incluse nella zona rossa tre milioni di persone invece, attualmente, sono comprese solo quelle dell'area vesuviana pari a circa seicentomila (...) sappiamo che vulcani come il Vesuvio possono entrare in una fase di crisi in qualsiasi momento. Ciò che è più grave è che con tutte le conoscenze scientifiche che abbiamo a livello mondiale, non siamo in grado, nel caso in cui inizia una crisi, di dire quanto essa durerà né quando avverrà l'eruzione e soprattutto di che tipo sarà. Dobbiamo essere pronti ad un evento della massima portata possibile". Come giustamente fanno notare i ricorrenti, assistiti dall'avvocato Paoletti, nel ricorso alla Cedu: "L'amministrazione avrebbe dovuto predisporre un adeguato piano di sicurezza, recante disposizioni operative di dettaglio, con istruzioni per i cittadini semplici e chiare, corredate da mappe con percorsi di fuga; individuare e realizzare necessarie vie di fuga, essendo insufficienti quelle attualmente esistenti, per ammissione delle stesse autorità; controllare lo stato di agibilità e sicurezza degli edifici presenti nelle zone a rischio, siano essi pubblici o privati". Niente. Anzi, dal 2005, nella periferia est di Napoli -rientrante nella zona rossa- è addirittura in costruzione l'"Ospedale del Mare", una mega struttura sanitaria il cui progetto prevede oltre 450 posti letto, 18 sale operatorie, con annesso un albergo per le famiglie dei malati, un centro commerciale, un centro direzionale e un parcheggio da 1300 posti auto. Ebbene, tale ospedale, il più avanzato e capiente del Mezzogiorno (e tra i più grandi d'Europa), sorge a soli 7,7 km dal vulcano e, quindi, quando si verificherà l'eruzione finirà senz'altro sotto cenere e lapilli. Ma per l'assessore alla Protezione civile Edoardo Cosenza: “la ridefinizione dei confini della Zona Rossa non impedisce la realizzazione di opere e strutture di servizio ma solo delle abitazioni”. Comprensibile da parte sua, visto che figura come responsabile del collaudo sismico della struttura. Dello stesso avviso è il prefetto Franco Gabrielli, che recentemente gli ha fatto eco dai microfoni di Radio Radicale. In Giappone, a Kagoshima, nelle aree urbane ad alto rischio vulcanico, si effettuano regolari prove di evacuazione di tutta la popolazione almeno una volta l'anno, unitamente alla distribuzione di materiale protettivo e informativo. Per quanto riguarda il Vesuvio un'esercitazione (Mesimex) si è svolta nel 2006 ma in quel caso "il traffico sulla vicina autostrada Napoli-Pompei si è completamente bloccato, e un improvviso temporale ha ulteriormente complicato l'esodo. Le autorità hanno espresso soddisfazione per i risultati, ma i media paralvano di "ritardi e caos". E si trattava di un'esercitazione ridotta, che coinvolgeva solo un centinaio di abitanti per ognuno dei 18 comuni della zona rossa" (National Geographic). Il Piano di emergenza della Protezione civile, prevede l'evacuazione della popolazione residente nella zona rossa (circa 800.000 mila persone) e il loro trasferimento in altre Regioni italiane. Purtroppo però -secondo i ricorrenti assisititi dall'avvocato Paoletti "il piano si limita a descrivere in astratto e genericamente quanto dovrebbe accadere -in particolare si prevede lo spostamento delle persone su gomma (a mezzo di autovetture private e autobus) senza formulare alcuna disposizione operativa di dettaglio a beneficio della popolazione". In altre parole, manca completamente la pianificazione di dettaglio e, quindi, le istruzioni per la popolazione sul comportamento da seguire, in particolare nella fase iniziale, la più importante e delicata. Il piano non ha quindi, allo stato attuale, nessuna utilità. Ciò è stato riconosciuto dallo stesso capo della Protezione civile Gabrielli nel corso della conferenza stampa dell'11.01.2013 "Come faccio io da Roma a stabilire quante persone necessitano di essere evacuate, dove le vado fisicamente a prendere, qual'è il sistema viario che dovrà essere interessato, quali sono i meccanismi più congrui affinché l'evacuazione avvenga non in una sorta di fuggi fuggi ma in maniera programmata e non caotica? Questo ovviamente è compito dei territori, è compito delle istituzioni del territorio, nella più armonica applicazione del principio di sussidiarietà; poi i vari livelli superiori intervengono, coordinano e fanno sintesi". Allo stato attuale dunque, in caso di emergenza, si verificherebbe un "fuggi fuggi" caotico verso vie di fuga ostruite dalle costruzioni abusive. Come ricorda l'urbanista Aldo Loris Rossi infatti "Napoli è l'unica metropoli europea che ha un solo accesso autostradale, da oriente, in crisi permanente. L'unico accesso autostradale alla città è sempre più assediato dall'abusivismo, da cimiteri d'industrie dismesse e dalla proliferazione incontenibile di aree di stoccaggio e depositi, per cui è divenuto un nodo scorsoio che sta soffocando Napoli ignara del pericolo". "Per valutare il rischio vulcanico della provincia di Napoli" prosegue Aldo Lois Rossi "basti considerare che essa include le due zone ad alto rischio permanente vesuviana e flegrea; Inoltre è tanto piccola da entrare nel Grande Raccordo Anulare di Roma; pertanto è come se quest'ultimo, sovrappopolato e sovrurbanizzato, includesse due vulcani attivi" Per citare Marziale: "Ecco il vesuvio, che ieri era verde delle ombre di pampini; qui celebre uva spremuta dal torchio aveva colmato i tini (...) tutto giace sommerso dalle fiamme e dall'oscura cenere: gli dei avrebbero voluto che un tal scempio non fosse loro stato permesso". di Enrico Salvatori  

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