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Facci: ci mancava la Barbie coi brufoli e le smagliature

Eliana Giusto
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La Barbie coi brufoli no. La Barbie cessa, struccata e con le smagliature (si attaccano tipo cerottini) però no, vi prego. E invece sì, la vendono, qualche femminista invita a regalarla per Natale: si chiama Lammily - la bambola - e sembra una bulgara sfondata da dodici gravidanze. Per 6 dollari c'è un pacchetto aggiuntivo con cellulite, tatuaggi, cicatrici, lentiggini, occhiali, bende, contusioni, graffi e punture di zanzara. È struccata, non sorride e ha i capelli castani anziché biondi come la Barbie, questa reazionaria, questa mogliettina col sorriso da emiparesi e che cammina sempre in punta di piedi per poter mettere i tacchi: Lammily invece ha i fettoni piantati a terra e ci puoi appiccicare calli e duroni. I piedi non puzzano ancora, ma in futuro chissà. Mancano anche peluria e baffi. Le misure complessive sarebbero quelle medie delle ragazze di 19 anni: ma forse quelle americane, o del casertano, sta di fatto che nel complesso il modello è quello di - si diceva ai miei tempi - un roito, insomma una brutta. Che dire? in passato avevamo intravisto la Barbie vecchia e la Barbie paraplegica (in sedia a rotelle) e la Barbie calva (radioterapia) ma erano provocazioni, campagne shock che avevano una ragion d'essere ed erano il contrario del politicamente corretto: mica le vendevano davvero, erano l'immagine di una buona causa. Le Barbie nere e mulatte invece le vendevano già negli Anni Settanta, era una questione di mercato prima di altro. Una coi piedi piatti - apprendo su internet - uscì nel 1971, ma vendette pochissimo. Ken - il marito o fidanzato col sorriso da coglione - lo fecero più o meno muscoloso e addirittura stereotipato coi pesi da palestra, poi biondo, hawaiano, africano, di tutto. Ma, appunto, era una questione di mercato, non di pedagogie d'accatto. La domanda è: sino a che punto si spingerà il politically correct? Le concessioni al sogno cederanno ai timori di un modello troppo anoressico? Imbruttiremo anche le principesse delle fiabe? La dittatura della verità imporrà la Barbie morta o chiusa nel polmone d'acciaio? Giulia Siviero, una simpatica ragazza che scrive per il manifesto e lavora al Post, non ha tutti i torti a sottolineare che esiste un sessismo anche nel mondo dei giocattoli. Ed è un sessismo che risente delle latitudini: le femmine, nelle pubblicità o in un catalogo di giocattoli italiano, sono sempre circondate dal rosa e poi da bambole, carrozzine, lettini, piccoli ferri da stiro, fornellini, finti make-up, collanine e dolcettini. Nei negozi la corsia «bambine» sembra un negozio di casalinghi. Mentre i maschi, viceversa, ormai oscurate le armi giocattolo per scorrettezza politica, sono comunque rappresentati mentre scimmiottano i mestieri dei grandi o s'industriano con treni e macchinine e costruzioni. Forse si esagera, perché bambini e bambine sono molto più elastici di noi: ma i cataloghi di giocattoli svedesi o danesi - che Giulia Siviero ha mostrato sul suo blog - forse ecco, esagerano in senso inverso. Si vede un bambino che fa il bagnetto a una bambola: mi fa un po' ridere. Si vede una bambina che gioca con un pipistrello e i soldatini. Nessuno vieta di farlo in ogni caso, ma più di tanto io non lo vedo il problema di una «precoce e stereotipata separazione dei ruoli», qualcosa cioè che possa impedire a una femmina di diventare un tipico maschiaccio, se crede: non siamo solo un sottoprodotto ambientale. E comunque il mondo cambia, ma ha i suoi tempi. Noi siamo sempre un po' in ritardo per le solite ragioni storiche e religiose eccetera, ma insomma, per farla breve: la barbie coi brufoli no. Qualche concessione al sogno e all'irreale lasciatelo almeno ai bambini, ché per i bagni di realtà avranno tutto il tempo. Anche perché non vorremmo doverci ritrovare, poi, con un Ken stempiato, con le maniglie dell'amore e la canottiera macchiata di sugo. Il marito perfetto per quel cesso di Lammily. di Filippo Facci

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