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Berlusconi, se la Cassazione lo condanna è pronto a dimettersi

Silvio Berlusconi

Giulio Bucchi
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Questa volta non è stato un consiglio ma un vero proprio ordine: «Nessuna dichiarazione fino al 30 luglio». Con Silvio Berlusconi gli avvocati sono stati perentori. Senza differenza nel collegio che assiste il Cavaliere. La pensa così - ed è evidente - l'ultimo arrivato, il professore Franco Coppi. Concordano però sia Niccolò Ghedini che Pietro Longo. Ogni parola potrebbe essere quella sbagliata nell'ultimo miglio che separa dalla sentenza di Cassazione sul processo per i diritti Mediaset. Se richiamo c'è stato nelle ultime ore, è perché Berlusconi è inquieto, e forse avrebbe voluto altro. Da giorni consulta freneticamente i propri collaboratori. Discute con quelli che la stampa definisce «falchi» o «colombe». Più con i primi che con i secondi. Dopo i colloqui è stato Berlusconi a farsi vivo: «Mi mandi due appunti su quel che ci siamo detti?». Il Cavaliere così ha già pronta la bozza del discorso che seguirà la sentenza della Cassazione, attesa per il 30 luglio anche se potrebbe slittare di qualche giorno o settimana. Appunti che in gran parte girano intorno all'ipotesi che forse anche per scaramanzia viene ritenuta più probabile: sentenza negativa, conferma della condanna di appello (5 anni di cui però 4 indultati) e quindi anche della pena accessoria della interdizione dai pubblici uffici per un periodo di 5 anni. Da quegli appunti, ancora disordinati, una cosa almeno si comprende: se la vicenda giudiziaria dovesse finire male (e non è detto sia così: la Cassazione potrebbe anche rinviare in corte di appello o assolvere Berlusconi), il governo di Enrico Letta non sarà affatto immune dalla bufera.  Il Cavaliere ha soprattutto una bussola che lo orienta in queste ore: in ogni caso non sarà lui a subire da altri l'espulsione formale dalle istituzioni e dalla politica. In caso di condanna non attenderà la notifica formale al Senato da parte della procura generale presso la Corte di Appello di Milano a cui spetterà l'incombenza. Si dimetterà prima, parlando direttamente agli elettori con un discorso (sul sistema che ha provato a cambiare e che ha reagito espellendolo) inevitabilmente destinato ad avere ripercussioni sulla vita dell'esecutivo, nonostante la molta acqua sul fuoco che i pompieri di tutti fronti gettano in queste settimane.  Tecnicamente in caso di sentenza di condanna della Cassazione per Berlusconi non cambierebbe nulla subito. Anche quella sentenza va motivata, e poi trasmessa alla Corte di appello di Milano per l'esecuzione. Questa procedura tradizionalmente ha avuto sempre tempi lunghi. L'ultimo precedente è del 6 ottobre 2010, quando nella stessa condizione si trovò l'ex presidente della regione Sicilia (e allora deputato Udc), Giuseppe Drago, condannato in via definitiva per peculato continuato con l'accusa di avere usato in maniera impropria il capitolo delle spese riservate della presidenza della regione. La sentenza della Cassazione portava la data del 14 maggio 2009.  La corte d'appello di Palermo la notificò alla Camera sei mesi dopo, il 13 novembre 2009,  fissando da quel giorno la data di decorrenza della pena accessoria comminata a Drago dell'interdizione temporanea dai pubblici uffici di anni due e mesi nove. Con molte discussioni la giunta per le elezioni dichiarò decaduto Drago proprio per quelle pene accessorie. Ma ricordò i precedenti, e non tutti furono dello stesso tenore. C'era quello di Cesare Previti nella 15ª legislatura. Ma lui aveva tolto tutti di imbarazzo dimettendosi prima di ogni decisione.  C'era quello di Marcello Dell'Utri nella 13ª legislatura: situazione simile a quella di Berlusconi, con interdizione temporanea. La giunta tergiversò (la maggioranza era di centrodestra), e nel frattempo Dell'Utri riuscì a ottenere di nuovo in Cassazione un «incidente di esecuzione» con l'annullamento delle pene accessorie. Il caso quindi fu chiuso così.  C'era però un altro caso ancora, e riguardava Gianstefano Frigerio, anche lui condannato in via definitiva poco dopo l'elezione del 2001 con interdizione dai pubblici uffici di natura temporanea. Anche qui la giunta ci mise parecchio a decidere. Nel frattempo Frigerio in esecuzione della condanna fu affidato ai servizi sociali. E la Camera decise alla fine di cancellare motu proprio l'interdizione dai pubblici uffici «in conseguenza dell'esito positivo dell'affidamento in prova ai servizi sociali». È evidente che sarà questo il precedente invocato dal Pdl in caso di condanna di Berlusconi. Ma dovrà essere approvato anche dal Pd. E soprattutto sarà necessario tempo. Politicamente è assai difficile che tempo a disposizione ce ne sia: il pressing di M5S e Sel non lo consentiranno. Quindi sarà determinante la scelta del Pd. Seguirà il precedente Frigerio? «No. Lo posso escludere”, sostiene con Libero Matteo Orfini, «il Pd compatto darà il via libera a quanto previsto da una sentenza definitiva di Cassazione, naturalmente se il caso si dovesse presentare».  È quasi certo quindi che in caso di condanna il Parlamento non sarebbe in grado di dare un salvagente al leader del Pdl. E Berlusconi a quella verifica non vuole nemmeno arrivare: parlerà prima agli italiani. E con loro staccherà la spina a tutti: «l'estabilishment mi espelle, non accetta la possibilità di cambiare». Quel giorno stesso il governo cadrà. Ma prima di quel giorno c'è ancora spazio per la sentenza. E non è detto che il pessimismo del Cavaliere sia così fondato. Coppi spera di no. Enrico Letta e Giorgio Napolitano anche. di Franco Bechis @FrancoBechis

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