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Le novità sanitarie in carcere:prioritario prevenire epidemie

Rivoluzione nell'approccio alla salute dei detenuti: data la diffusione di malattie asintomatiche verranno applicati i Livelli Essenziali di Assistenza anche alle case di detenzione

Maria Rita Montebelli
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Dati epidemiologici allarmanti sulla salute nelle carceri sono emersi durante la XVIII edizione del congresso nazionale della Società Italiana di Medicina e Sanità Penitenziaria (SIMSPe) 'Agorà Penitenziaria', svoltosi a Roma e organizzato insieme alla Società Italiana di Malattie Infettive e Tropicali (SIMIT). La manifestazione ha riunito le diverse figure sanitarie che operano all'interno degli istituti penitenziari – specialisti, infettivologi, psichiatri, dermatologi, cardiologi, infermieri – per una riflessione approfondita sulla sanità in carcere rivolgendosi ai colleghi operatori, agli amministratori di Istituti e a chi ha il compito di stabilire le regole ed allocare le risorse. Il problema della salute nelle case di detenzione nasce dal rapido ricambio della popolazione carceraria che rende difficili i controlli sanitari e la continuità assistenziale. Nei 190 istituti penitenziari italiani sono transitati nel 2016 oltre centomila detenuti. Nonostante l'età molto più giovanile rispetto alla media all'esterno, solo un detenuto su 3 non presenta alcuna patologia. Ciò che più preoccupa è che la metà dei malati ignora di esserlo, o comunque non dichiara la patologia agli operatori sanitari dei penitenziari. Sottolinea Sergio Babudieri, professore associato del corso di Malattie Infettive presso l'Università di Sassari e direttore scientifico di SIMSPe: “si tratta di un quantitativo ingente di individui, soggetti peraltro a un continuo turn-over e talvolta restii a controlli e terapie. Un lavoro enorme, di competenza della salute pubblica ma senza un'organizzazione adeguata. Pur avendo i farmaci a disposizione, si rischia di non riuscire a curare questi pazienti. La presa in carico di ogni persona che entra in carcere deve dunque avvenire non nel momento in cui questi dichiara di star male, ma dal primo istante in cui viene monitorato, al suo ingresso nella struttura. Questa nuova concezione dei Livelli Essenziali d'Assistenza (LEA) significa che lo Stato riconosce che anche nelle carceri è necessaria un certo tipo di assistenza. Fino al 2016 non c'era alcuna regola: questo segnale può essere un grande progresso”. I LEA definiscono gli obiettivi minimi da raggiungere e le regole basilari cui si deve conformare il lavoro degli operatori sanitari nelle strutture e sul territorio e prossimamente verranno applicate anche alla comunità carceraria, costituita per il 34 per cento da stranieri. Poiché in libertà il loro stato di salute è difficilmente valutabile, la società non dovrebbe perdere l'occasione della detenzione per accertare la presenza o assenza di patologie. Per oltre la metà degli stranieri, che hanno età media inferiore agli italiani detenuti, è endemica la diffusione della tubercolosi. Inoltre i malati psichiatrici sono nettamente sottostimati, in particolare per quanto riguarda la schizofrenia, accertata in appena lo 0,6 per cento della popolazione carceraria, dato rappresentativo dei soli casi che presentano sintomi conclamati. Si stima che tra i detenuti asintomatici siano molto numerosi coloro che in realtà necessitano di cure. Preoccupano in particolare le malattie infettive. Secondo le stime gli HIV positivi sono circa 5 mila e 6.500 sarebbero i portatori attivi del virus dell'epatite B. L'epatite C, invece, colpisce tra il 25 e il 35 per cento della popolazione carceraria italiana, ovvero tra i 25 mila e i 35 mila detenuti. I maggiori benefici che si possono trarre dai LEA applicati agli istituti penitenziari sarebbero destinati ai malati di epatite C. Dal 1 giugno l'Agenzia Italiana del Farmaco (AIFa) ha reso prescrivibili nuovi farmaci eradicanti il virus dell'epatite C. 30 mila persone che transitano annualmente nelle carceri italiane potrebbero quindi venire trattate in modo risolutivo ed evitare di contagiare altri soggetti una volta in libertà. Luciano Lucanìa, presidente SIMSPe 2016-18 auspica “maggiore attenzione ai problemi legati all'intrinseca vulnerabilità sociale che certamente ampia parte dei detenuti presenta, occorrono buone prassi di informazione sulle maggiori patologie infettive. Fondamentale la cura e la garanzia di un diritto costituzionale. Auspicabile lo sviluppo dei reparti ospedalieri per detenuti con una diffusione almeno regionale, così da poter garantire assistenza ospedaliera in maniera più adeguata”. Se la detenzione è intesa come misura di recupero di chi ha infranto la legge finalizzata al ritorno del detenuto in società, la salute dei carcerati diventa argomento di pubblico interesse. (MARTINA BOSSI)

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