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“La pesca” di Esselunga: lo storytelling geniale che ha fatto centro

Iris Devigili Cattoni
Iris Devigili Cattoni

Ha una laurea in scienze storiche cui sono seguiti due master in Marketing, comunicazione e social media e in Marketing strategico. Da oltre dieci anni è consulente di marketing e comunicazione digitale ed è stata docente per i master post laurea alla Business School de Il Sole 24 Ore. Autrice del libro “Buyer Personas. Comprendi le scelte d'acquisto dei clienti con interviste e Modello Eureka!”, ha scritto diversi contributi per pubblicazioni di colleghi e amici. Si dedica alla scrittura e conduzione di trasmissioni televisive, modera dibattiti, presenta libri e coltiva la sua passione per l'uso della voce. Patita di sport, si divide tra running e padel.

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Uno spot pubblicitario che fa parlare si sé più della nota di aggiornamento al DEF, un cortometraggio che divide, fa discutere, che coinvolge la sfera politica del Paese insomma, il meglio che si possa desiderare per un pubblicitario. Tante polemiche che di fatto sanciscono la genialità di un film che promuove la catena di supermercati Esselunga.

Al centro del racconto una famiglia come tante, diversa da quella perfetta del Mulino Bianco, ma probabilmente più realistica. I genitori separati e una bambina che, com’è normale che sia, desidera che papà e mamma tornino insieme. La “bugia bianca” della piccola Emma che tira fuori dallo zainetto una pesca acquistata  con la mamma all’Esselunga e la porge al papà: “te la manda la mamma”. Ci sono passati in tanti, ci sono passata anch’io all’età di sei anni e se non ho fatto un gesto come quello raccontato nello spot, garantisco che ho pensato e immaginato di farne di analoghi molte volte.

La storia ha colpito nel segno; come ha fatto immedesimare me, sicuramente ci è riuscita con tanti altri, piccoli e grandi, che un’esperienza simile l’hanno vissuta. Cosa c’è di male in questo? Si è sentito di tutto in questi giorni, critiche che nulla hanno a che vedere con il messaggio che vuole mandare lo spot: demonizzazione del divorzio, induzione al senso di colpa dei genitori, sfruttamento del dolore dei bambini, addirittura si è tirato in ballo lo stipendio degli italiani per i quali l’acquisto di una pesca sarebbe un lusso.

Follia pura! Perché si devono andare a cercare dietrologie e sovrastrutture che non esistono? Si tratta semplicemente di un racconto, della realtà osservata quotidianamente, dell’empatia che si crea nelle persone quando si riconoscono in ciò che vedono, è puro marketing emozionale. Esselunga ha deciso di parlare ad un’audience ben precisa che non si riconosce nella famiglia felice e unita che molti altri brand raccontano, quindi? Evitiamo di rappresentare le tantissime famiglie “non tradizionali”, perché non è politicamente corretto mostrare i lati meno piacevoli che un nucleo famigliare spesso si trova ad affrontare?

Si tratta di percezione del singolo, di sensibilità verso certe tematiche: c’è chi non vede di buon occhio l’esaltazione della famiglia perfetta e chi invece biasima il racconto della famiglia che perde la propria unione. Esselunga in fin dei conti ha solo raccontato il suo essere presente, giorno dopo giorno, nella vita delle persone con i propri prodotti che possono diventare qualcosa di più di un banale frutto, ma anche con i propri punti vendita anch’essi perni di quotidiani fatti di vita.

Basta osservare con un minimo di attenzione lo spot pubblicitario per capire che tutte queste chiacchiere sono ridicole e leggere la frase con cui si conclude il cortometraggio: “Non c’è una spesa che non sia importante.” Questo è il messaggio che il marchio ha voluto lanciare e a mio parere quel messaggio è arrivato forte e chiaro.

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