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Il sosia di Conte, premier sporcaccione

"Natale a Cinque stelle", la terribile minaccia di Natale di Netflix

Francesco Specchia
Francesco Specchia

Francesco Specchia, fiorentino di nascita, veronese d'adozione, ha una laurea in legge, una specializzazione in comunicazioni di massa e una antropologia criminale (ma non gli sono servite a nulla); a Libero si occupa prevalentemente di politica, tv e mass media. Si vanta di aver lavorato, tra gli altri, per Indro Montanelli alla Voce e per Albino Longhi all'Arena di Verona. Collabora con il TgCom e Radio Monte Carlo, ha scritto e condotto programmi televisivi, tra cui i talk show politici "Iceberg", "Alias" con Franco Debenedetti e "Versus", primo esperimento di talk show interattivo con i social network. Vive una perenne e macerante schizofrenia: ha lavorato per la satira e scritto vari saggi tra cui "Diario inedito del Grande Fratello" (Gremese) e "Gli Inaffondabili" (Marsilio), "Giulio Andreotti-Parola di Giulio" (Aliberti), ed è direttore della collana Mediamursia. Tifa Fiorentina, e non è mai riuscito ad entrare in una lobby, che fosse una...

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il cast di Natale a 5 Stelle Foto: il cast di Natale a 5 Stelle
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La satira richiede, specie al cinema e in tv (quindi, tantopiù su Netflix) un'onda lunga di sorrisi e una risacca di coraggio.  In questi giorni, nei più frequentati salotti televisivi -ultimo, quello di Fabio Fazio- si sta pompando, ai limiti dell'umano, il film “postumo” di Carlo Vanzina Natale a 5 stelle, scritto dal fratello Enrico e diretto da Marco Risi, su Netflix appunto. Tutti grandi professionisti di garanzia per qualcosa di “altro dai cinepanettoni” che richiamerebbe gli strali feroci della satira contro la stolidità della politica italiana. Questo, almeno, nelle intenzioni. La trama, però non cita gli scazzi con la Ue sulla procedura d'infrazione, o la penosa legge di bilancio, o il tafazzismo del Pd; si avvita, piuttosto, su una semplice pochade in cui il presidente del Consiglio italiano, tal Franco Rispoli (Massimo Ghini) “del governo gialloverde”, in viaggio diplomatico a Budapest, cerca di portarsi a letto la bella collega Giulia Rossi (Martina Stella) del Pd che “come facevano quelli di Forza Italia: ti hanno eletto solo perché sei bona”. Poi, nell'accendersi della passione con l'onorevole mezza nuda tra ostriche e champagne messe in nota spese ma nascoste agli elettori, ecco comparire il cadavere di un ladro vestito da Babbo Natale; ed ecco materializzarsi il segretario factotum del premier, tal Bianchini eletto a Guidonia “con 127 voti digitali”; il quale cerca di togliere il principale dalle peste. La pellicola doveva  essere sorrisi e coraggio, dicevo. Invece, il coraggio manca del tutto, a partire dalla solita scritta antiquerela in calce ai titoli d'inizio, roba tipo«Ogni riferimento a persone esistenti o a fatti realmente accaduti è puramente casuale» laddove il film è pieno di frasi e riferimenti ai politici attuali, da Macron a Gentiloni, con frasi come “Ah, c'è maretta tra Luigi e Matteo?” in riferimento a Di Maio e Salvini; o “Ma lei non aveva studiato ad Harvard? L'ho letto nel curriculum..” riferito a Ghini che scimmiotta Giuseppe Conte. Oppure “Tu, poi, sei del Pd, te sei sposata con un assessore comunale leghista, per di più di Civitavecchia”, laddove il politico del Carroccio, impersonato da Massimo Ciavarro ci fa la figura dello scimmione, cornuto e pirla. Un'accozzaglia di stereotipi, in pratica. E, ad essere onesti, anche di sorrisi se ne stiracchiano pochini.  Per evitare la crocefissione su una sceneggiatura ignominiosa, gli autori affermano, assai intellettualmente, di essersi ispirati alla piece Out of order di Ray Cooney già di per sé una vaudeville minore (ed è molto meglio la versione teatrale con Gianluca Guidi).  Dopodichè non fanno altro che rubacchiare -male- in parte a Neil Simon, in parte a La presidentessa di Maurice Hennequin e Pierre Vebe (ma le rispettive regie di Germi e Salce nel '62 e nel '77 delle versioni cinematografiche sono inarrivabili), inserendoci un po' di tette e culi alla Alvaro Vitali. La satira politica qui sta nell'imbarazzata ipocrisia di un italiano medio eternamente arrapato che cerca il sesso in virtù del suo potere: “quanto mi piace fare il premier”, sospira Ghini con l'ansia di mostrare che sta lavorando “per il popolo”. Poi subentra la tematica della donna piena di senso di colpa per il tradimento, mobile e timorosa, in fondo in fondo sempre speranzosa che il suo matrimonio non crolli. La stessa pseudo-Boschi che, alla fine, togliendosi gli occhiali che la “rendono più intellettuale e meno gnocca”,  in un sussulto di moralismo, prende le distanze dal suo stesso mondo: ““Io verrò dall'Isola dei famosi, ma vi vedo e mi viene voglia di tornare a fare la parrucchiera”. La scena più vibrante è l'incontro casuale, in strada, del premier, con Rocco Siffredi “un grande italiano che tiene alta, altissima la bandiera”, mentre sullo sfondo lo zoom si espande su una torre dall'ineguagliabile richiamo fallico. Con tutto il rispetto per i Vanzina -che, di solito, stimo-, più che un film testamento, questo è un film tombale….          

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