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Paolo Martellotti, l'uomo che ridà vita agli alberi

Giulio Bucchi
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L'uomo che dà una nuova vita agli alberi – realizzando sculture sacre e musicali, che riportano ad antiche epopee - si chiama Paolo Martellotti. Alla fine degli anni '60 è stato protagonista, per oltre un decennio, della corrente degli “architetti-artisti”, grazie al lavoro realizzato dallo studio “Labirinto”, dove si ritrovavano colleghi come Pia Pascalino, Antonio Pernici, Paola D'Ercole, Giuseppe Marinelli, che hanno fatto del lavoro “senza committenza” una delle cifre stilistiche e ideologiche della loro opera. Architetto, museologo, restauratore, appassionato di letteratura e di matematica, Martellotti oggi si può ri-definire “l'uomo che ama gli alberi”. Il suo verso preferito, è tratto da “La Torre” di Yeats: «Qualunque cosa arda nella notte, è nutrita dal cuore resinoso dell'uomo». E di alberi ne ha piantati parecchi, «per lo più abeti bianchi, abeti rossi, tigli e faggi», nel suo laboratorio di Pescasseroli, all'interno del Parco naturale: «L'albero mette in rapporto l'uomo con il mondo oscuro e misterioso della natura. Da sempre, mistici, sciamani e alchimisti, saggi, filosofi e artigiani hanno legato alla sua simbologia le eterne domande dell'uomo: il bene e il male, la vita e la morte, l'umano e il divino. Il suo legno, dalla notte dei tempi, ha permesso all'umanità di vivere e di evolversi, ma anche di esprimere i suoi pensieri e la sua gioia» spiega l'artista. Scolpire il legno, e farlo rinascere a nuova vita artistica, è diventata la sua missione in questi ultimi dieci anni. In cui, al posto del pennello e della tavolozza, sempre più spesso si è armato di motosega, sgorbia e mazzetta per ricavare dai tronchi, e persino dalle radici estirpate di alberi secolari come le querce, delle opere lignee realizzate con tecniche manuali di antica sapienza. «I legni, nel divenire sculture, non perdono la loro essenza di albero, la loro qualità di esseri viventi – spiega Martellotti mentre ci illustra alcuni suoi lavori – un abete rosso ha un profumo, una durezza, una ramificazione, una nodosità diversi da un biancospino e diverse sono anche le tecniche, i colori, e gli stessi utensili per trattare la materia». Fino al 30 settembre, la sua installazione “Il Bosco magico” - un allestimento temporaneo composto da 31 opere, tra cui 12 sculture in legno e un ciclo di dipinti su tela – ha trovato un'adeguata cornice scenica all'interno del giardino e del portico antistante la Casina delle Civette di Villa Torlonia, a Roma. In alcune delle sculture esposte, come “Arpa rossa”, è possibile ascoltare “la musica del vento” grazie all'uso di corde, chiodi e cordini d'acciaio. Mentre altri gruppi scultorei, come “Fuoco rosso” e “Fuoco blu”, svettano imponenti nel parco come alberi-totem. Non a caso, una ventina tra le creazioni di Martellotti sono conservate nella Fondazione culturale “Arte tribale” di Spoleto. E sempre a Spoleto, nella mostra “Primitivo e Contemporaneo”, le sue opere hanno “dialogato” con quelle di 22 artisti di arte africana cosiddetta primitiva. Molti suoi lavori e “alberi sacri” sono custoditi nelle collezioni permanenti in giro per il mondo, dal Museo Tchoban a Berlino, al Museo Schusev di Mosca, fino al Centro Pompidou di Parigi e al MAXXI di Roma. «Molto spesso trovo persone che mi regalano degli alberi, tagliati per motivi di sicurezza, dei pezzi di cedri, per esempio. A volte sono persone disperate, a cui tagliano degli alberi che hanno visto crescere e amato. Da un mio grande tiglio, che mi è stato imposto di abbattere, ho ricavato 11 sculture. Nell'albero c'è l'essenza dell'uomo, l'archetipo e la metamorfosi. I due pilastri della mia ricerca artistica». di Beatrice Nencha

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