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Fatto a pezzi pure dai suoi: "Doveva dimettersi il 15 dicembre"

Il leader futurista tradito anche da Granata

Andrea Tempestini
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Per i postfascisti dichiarare una cosa e poi l'opposto è una strategia politica, la volatilità delle opinioni la loro linea di galleggiamento. Mussolini è uno dei grandi statisti del Novecento, poi il male assoluto. Gli extracomunitari devono imparare a usare il sapone, il giorno dopo restituire il sapone e ottenere la cittadinanza italiana. L'ultimo revisionista di se stesso è Fabio Granata, uno dei centurioni di Fli. «Fini si doveva dimettere il 15 dicembre, dopo la fiducia ottenuta da Berlusconi» ha dichiarato ieri in un'intervista sul Fatto. Ricorderete che si era arrivati a quel fatidico 14 dicembre in un clima da battaglia finale e a quei servi berlusconiani che chiedevano le dimissioni di Fini, ecco cosa rispondeva Granata dal suo blog, in data 15 dicembre 2011: «Lasciate che chi non ha voglia di combattere se ne vada. Dategli dei soldi perché acceleri la sua partenza, dato che non intendiamo morire in compagnia di quell'uomo. Non vogliamo morire con nessuno ch'abbia paura di morir con noi». Una citazione che il vulcanico Fabio aveva attinto dall'Enrico V di Shakespeare, per marcare il livello epico dello scontro. E commentava: «Queste parole immortali non per raccontare una sconfitta ma per rivendicare il valore del coraggio, della lealtà e della coerenza. Contro il potere del Dio Denaro e la miseria di piccoli uomini e piccole donne. Per l'Italia». Il Dio Denaro, i piccoli uomini, e siam pronti alla morte. Mancava solo la bella abissina. E poi, ieri: «Fini si doveva dimettere». E ci sovviene che il motto dei postfascisti è sempre lo stesso: “O Roma o Orte”, come in quel film di Dino Risi. di Giordano Tedoldi

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