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Roberto Burioni, Alessandro Giuli: "Perché il virologo divide come il Ct della Nazionale"

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Toglieteci tutto ma non il medico alfa: Roberto Burioni. Anche quando esagera e si traveste da super eroe, fa il medico-teppista o il tifoso sguaiato, resta pur sempre un fuoriclasse della scienza mediatizzata. L'ultima puntata della burioneide risale a ieri e l'ha mostrata lui con un post su Facebook. Titolo: «Ho combattuto per anni contro i no-vax, adesso è arrivato il momento dei no-mask». 

A seguire, la foto di un messaggio ricevuto da un'insegnante di fitness e yoga, sicuramente adorabile, la quale si vanta di non prendere farmaci da anni, di non avere febbre dal 2012, di non apprezzare i vaccini («dovreste fare voi da cavia e dare il buon esempio»), di avere una nitida conoscenza del karma («in bocca al lupo, per quando le tornerà tutto indietro») e soprattutto di non amare le mascherine: «Se la metta lei». Una provocazione alla quale Burioni avrebbe potuto rispondere col lanciafiamme e invece no, ha dato prova di stile e ironia; non senza raccomandarci che «con la salute non si scherza». Ma qualcuno ha davvero voglia di scherzarci, con la salute, dopo quasi tre mesi di stordimento pandemico e di confinamento domestico nei quali abbiamo consegnato alla scienza - intesa come medicina: virologia, epidemiologia, pneumologia ecc. ma perfino statistica - il ruolo oracolare di una Parca che tesse il nostro destino collettivo? Era perciò inevitabile che lui, Burioni Roberto da Pesaro, autentico principe dei laboratori di virologia e barone dei social network, prendesse il sopravvento. 

 

Una volta a settimana lo vediamo negli studi di Fabio Fazio - genere "Che Covid-19 che fa" - ma ogni giorno non v' è chi non s' imbatta nel suo travolgente presenzialismo. Di fronte alla sua sapiente voce di velluto l'uditorio si divide a metà: per alcuni lui è quello che sa tutto e tutto aveva previsto perché nulla accadrà, nel bene o nel male, senza la sua benedizione; per gli altri è un vanitoso che ha sbagliato le previsioni sulla pandemia, così come i suoi colleghi, quando decretò senza tema di smentita che «in Italia il rischio è 0. Il virus non circola». I detrattori cercano ancora d'inchiodarlo a quella frase stentorea, ma lui replica che si era al 2 febbraio e avrebbe fatto «quell'affermazione quando le autorità ci dicevano che in Italia il virus non c'era». 

IL GIALLO
A essere onesti, Burioni è da gennaio che allarmava la comunità scientifica e le autorità pubbliche sul rischio che il virus cinese espatriasse in Europa e quindi anche in Italia. Ed è altrettanto vero che ad aprile il nostro virologo preferito ha finalmente cominciato a indicare nell'Oms assoggettata alla cattiva coscienza cinese una delle principali cause dei ritardi e delle inadempienze nei sistemi sanitari occidentali chiamati a fronteggiare il Sars-Cov2. Una resipiscenza forse tardiva ma decisa, maturata quando l'Oms ancora si ostinava a minimizzare il ruolo preventivo delle mascherine ma aveva già fragorosamente piegato analisi e protocolli sanitari alla versione autoassolutoria di Pechino. E così tocchiamo un tasto dolente: nella narrazione epidemica che s' è impossessata delle nostre vite, sono due i feticci viventi a troneggiare: Burioni e il suo amico Walter Ricciardi, che peraltro è rappresentante italiano presso il board dell'Oms, oltreché consulente principe del ministro della Salute Roberto Speranza. 

I due gemelli si somigliano e si completano, ma non hanno l'accortezza di giocare al poliziotto buono e a quello cattivo: bulleggiano entrambi, senza disdegnare quel sovrappiù di aggressività politica che in tempi litigiosi e perigliosi come questo non aiuta a discernere una debole verità da un rutto più convincente. Accade così che Ricciardi, già uomo di punta dei tecnocrati montiani e ora Calenda boy (memorabile un suo tweet nel quale, come Nanni Moretti con Alberto Sordi, diceva che ce la meritiamo l'austerity), si lascia prendere la mano svillaneggiando perfino il presidente americano Donald Trump e rampogna qualunque ipotesi terapeutica anti- Covid non sia passata sulla sua scrivania. In questa prassi, come una Cassazione medico-scientifica, Burioni e Ricciardi fanno comunella, sorreggendosi l'un l'altro a forza di dichiarazioni, video, scritti solenni come quelli dell'irrinunciabile rivista burioniana Medical Facts: l'ultimo grado di giudizio dell'aristocrazia del laboratorio impegnata a demolire le superstizioni e a denunciare i "cialtroni" antiscientifici, fra i quali figurano anche alcuni medici clinici alle prese con i malati in carne e ossa. 

 

Ma anche qui bisogna essere prudenti. Fra gli ultimi bersagli di Burioni e soci c'è l'innamoramento per la plasmaferesi, la terapia con il plasma iperimmunizzato dei guariti da Covid che alcuni medici stanno sperimentando da qualche settimana con esiti assai confortanti. Uno di questi è Giuseppe De Donno, primario di pneumologia dell'ospedale Carlo Poma di Mantova, stritolato suo malgrado dalle tifoserie contrapposte formate dagli scettici e piacioni vaccinisti e dagli ultrà rivali posizionati al limite della superstizione no vax

DUELLI SCIENTIFICI
Intervistato alla radio, l'introverso e un po' scorbutico De Donno ha offerto un raro saggio di compostezza, umiltà e civiltà del lavoro: ha difeso la sua sperimentazione senza contrabbandarla come una panacea, ma al tempo stesso ha ricoperto di lodi Ricciardi e l'ha ringraziato per il solo fatto che con il suo curriculum stellare continua a lavorare per noi in Italia anziché negli Stati Uniti. Morale: fuori le curve dal campo di gioco. Burioni ha poi smussato la polemica e applaudito i primi risultati, ma il fatto è che a volte tratta la materia scientifica un po' come la Lazio della quale è tifoso smisurato - «Se avessi i pieni poteri, per prima cosa scioglierei la Roma», ha tuittato nel pieno della tempesta pandemica - e prende a pallonate chiunque sia anche lontanamente sospettabile d'intelligenza con il suo nemico. Ma chi è il nemico di Burioni? Il suo libro più popolare s' intitola "La congiura dei somari. 

 

Perché la scienza non può essere democratica". Dal che si arguisce anzitutto che per Burioni la democrazia non può essere scientifica; e da qui discenderebbe, se non altro nel presente stato d'eccezione, il primato del partito dei virologi ufficiali su ogni altra voce extrascientifica. Foss' anche politica? Diciamo che si coglie in controluce una diffidenza per i cittadini comuni, trattati come bambini immaturi rappresentati da un personale politico a loro sin troppo simile. Intendiamoci però. Quel che dice Burioni in materia sanitaria è in larghissima parte sensato e comprovato sia dalla dottrina accademica sia dall'esperienza personale; oltretutto, quando si è trattato di fare un passo indietro rispetto alle necessità liberatorie della Fase 2, sensibile al richiamo di Matteo Renzi, lui ha subito riconosciuto alla politica il diritto/dovere di prendere decisioni; sentito il parere i tecnici, ovviamente. 

Ecco, il parere di Burioni è che un vaccino prima o poi dovrebbe salvarci dal Coronavirus, ma noi dubitiamo che un altro vaccino possa guarire Burioni non tanto dalle sue teorie quanto dal piglio assolutista con il quale le offre al mondo. Posto che la vanità e la tempistica nella pubblicazione dell'ultima fatica editoriale ("Virus. La grande sfida") da queste parti siano ritenute peccati veniali e nient' affatto venali, visto che gli incassi del libro andranno a finanziare la ricerca. In definitiva: Burioni ha un po' rotto i maroni? Giammai. Diciamo soltanto che, a furia di sovraesporsi, il rischio della mostrificazione circense si avvicina. Ma lui rimane pur sempre il nostro prediletto. Purché si ricordi che, sì, la scienza non è democratica, ma a volte gli scientisti possono diventare molesti; soprattutto quando pretendono l'esclusiva nel rilascio delle patenti d'immunità al virus antiscientifico.

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