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Recovery Fund, Pietro Senaldi contro Giuseppe Conte: "Il conto arriverà tra due anni e non lo pagherà lui"

Pietro Senaldi
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Evviva, l'Europa ci ha concesso di indebitarci ancora di più. Normalmente è una cosa che ci riesce con straordinaria disinvoltura e fino a ieri economisti e professori ci dicevano che era il problema numero uno del Paese. Se infatti indebitarsi fosse un toccasana per l'economia, noi staremmo meglio di Montecarlo e Dubai e non dovremmo chiedere aiuto a chi, come gli olandesi, è specializzato nell'infilarci le dita negli occhi. Oggi Conte ci presenta l'aumento vertiginoso del rosso pubblico come suo successo personale e motivo di giubilo nazionale. Urgono chiarimenti per capire se c'è la fregatura; o meglio, dove sta. L'accordo ottenuto dall'Italia, per il quale il premier ha dovuto fare il giro con il piattello in mano tra i partner Ue in un umiliante gioco dei quattro cantoni, prevede che avremo 209 miliardi. Di questi, 81 sono a fondo perso, una sorta di regalo che l'Europa si fa per aver avuto il Covid.

 

 

In origine avrebbero dovuto essere quattro in più, ma di questi tempi non è il caso di sottilizzare. Più urticante è scoprire che, poiché causa virus l'Unione ha deciso di aumentare il proprio bilancio, ci toccherà sborsare nei prossimi anni 55 miliardi suppletivi, il che riduce l'elargizione reale della Ue a 26 miliardi. E qui finiscono le buone notizie. Gli altri 127 miliardi che ci arrivano dal Recovery Fund infatti sono tutti a debito, e sono 34 più del previsto. Altro particolare è che, prima di incassare i quattrini, dovremo presentare all'Europa, entro il 15 ottobre, un piano molto dettagliato su come intendiamo spenderli. Sarà la Commissione Ue ad avere la parola decisiva ed eventualmente a correggere la destinazione dei denari o a imporci condizioni per incassarli. Da un lato è una buona notizia, se pensiamo a chi ci guida e a come il governo mal utilizza i soldi che gli diamo. Dall'altro è un rischio, perché l'Europa, se i nostri progetti non le garbano, può imporci diktat onerosi, dalla riforma delle pensioni alla patrimoniale a una stretta sulle tasse di successione.

CHI PAGHERÀ IL CONTO
Il premier non se ne cura, perché il conto arriverà tra un paio d'anni, e non dovrà pagarlo lui, che con i miliardi a debito ha comprato tempo. Però gli italiani farebbero bene a preoccuparsi fin da ora. Basta analizzare le scelte di politica economica del governo infatti per temere che questa pioggia di miliardi, più che una leva per la ripresa, si trasformerà in biada per alimentare il modello di Stato mamma che i giallorossi e Conte hanno in testa. Una società sussidiata che si regge sul debito e si rallegra quando può aumentarlo come un drogato festeggia l'arrivo della dose quotidiana che prima o poi lo ammazzerà. Il fatto che l'Europa infatti ci consenta di aumentare il rosso non significa che intenda minimamente farsene carico, visto che per arrivare a questo accordo l'Unione ha dovuto da un lato fare un passo indietro come istituzione e riconoscere ai singoli Stati una maggiore autonomia in termini di politica interna, e dall'altro scaricare totalmente su di essi il rischio di un aumento del debito e l'onere di onorarlo comunque.

Questo si potrà vedere presto, quando con la scusa del Recovery Fund la Banca Centrale rallenterà l'acquisto di titoli di Stato che finora ha sostenuto la nostra economia e contenuto il tasso sugli interessi da pagare, cosa che negli ultimi mesi ci ha aiutato più di ogni trattato. Resta da chiedersi cosa ne farà il governo di questa massa di denaro. Temiamo di conoscere la risposta. Una parte verrà buttata in sussidi, casse integrazioni, banchi scolastici con le rotelle e regalie elettorali. L'altra servirà a tappare i buchi dei prossimi fallimenti delle imprese italiane, alle quali lo Stato, tra scadenze fiscali, divieti alla mobilità aziendale, blocchi a giustizia e amministrazione pubblica e lavoro remoto obbligatorio, sta bruciando possibilità e terreno di sviluppo.

 

 

RIMPIANGEREMO AMATO?
Tutti temono che a settembre, o quando finirà lo stato d'emergenza, una bolla nella quale Conte sta tenendo sospesi il Paese e l'economia, scoppierà la rivolta sociale. È probabile. Ma ancora più male ci farà, tra tre o quattro anni, l'esplosione del debito pubblico. E il conto non arriverà solo dal Recovery Fund. Durante il Covid lo Stato ha obbligato le banche a prestare miliardi alle imprese, garantendoli con le casse pubbliche. La pressione è stata massima e sono saltati tutti i criteri di vigilanza sui destinatari del denaro, tanto più che gli istituti, non dovendo rispondere delle aperture di credito e incalzati dal governo, sono stati legittimati a chiudere più di un occhio. Quando questi prestiti, dolosamente o incolpevolmente, non saranno rimborsati, lo Stato si troverà a dover far fronte a un conto miliardario, che andrà ad aggiungersi ai soldi da restituire all'Europa. È in quel momento che il debito schizzerà al 200% del Pil e gli occhi di tutti, da Palazzo Chigi a Bruxelles, punteranno sui 1.400 miliardi di risparmi privati degli italiani e sul loro patrimonio immobiliare, stimato in seimila miliardi. E allora nessuno ci potrà salvare da una patrimoniale al confronto della quale il prelievo notturno praticato da Amato sui conti correnti degli italiani nel 1992 sarà un dolce ricordo. 

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